
di Raffaella Guidi Federzoni
“Non sa ella, signora Contessa, che Domineddio fece apposta il Lambrusco per annaffiare la carne dell’animale caro ad Antonio Abate? E io, per glorificare Dio e benedire la sua provvidenza, mi fermai a Modena a lungo a meditare la sapienza…” *.
Io non sono Contessa e nemmeno poeta, ma credente sì e non solo in Domineddio, anche nel Lambrusco come vino del tutto italiano e del tutto per tutte le stagioni.
Arriva la Primavera, si sciolgono il ghiaccio del cuore e la cupa visione di cieli dal futuro grigio. Il bisogno di rinascita è talmente naturale da diventare spensierato, non importa a quale età. La giovinezza scalpitante in un bicchiere di Lambrusco, un poco grezzo e molto succulento, non ancora del tutto formato, profumato di fiori rossi sfrontati, ci fa sperare nel nuovo ciclo di stagioni. Questo vino può avere gambe lunghe, che indugiano nel palato e lo sorprendono. Dimentichiamo il dolciastro, l’amabile e quel tocco di bicarbonato di soda dell’industria che ha rovinato la reputazione di un prodotto italico per eccellenza.
L’Estate prende alla sprovvista, e chi l’avrebbe mai detto che avrebbe fatto così caldo? Questa afa l’anno scorso non c’era, dove andremo a finire noi e il Pianeta? Per ora finiamo seduti all’ombra, con in mano un bicchiere di Lambrusco fresco, anche freschissimo, mai ghiacciato. La gradazione alcolica non eccessiva contribuisce a sentirci leggeri e anche un poco sospesi nel limbo del vacuum vacanziero. Se siamo invece inchiodati al lavoro in spazi urbani deserti di giorno e vissuti dopo il tramonto, un sorso-due-tre di un vino schietto e vivace, perfettamente in tema con la pienezza mediterranea, invitano alla sensualità lenta del periodo estivo. Lo fanno nella versione più pallida, rosa opalescente. Una sferzata di energia di cui abbiamo bisogno.
L’ Autunno è la stagione più lunga, più bella e varia. Inizia con gli ultimi raggi infuocati d’agosto, continua in settembre col languore tiepido delle foglie che stanno ancora lì e non cadono, ci stanno ancora pensando. I frutti più buoni esistono ora, l’uva, i fichi, le prime mele zuccherine e aspre. Si ha voglia di resistere all’inevitabile perdita di linfa vitale. Un vino come il Lambrusco, nelle sue variegate declinazioni, regala nella maturità uno spessore denso e morbido che accompagna il passare delle settimane e la transizione verso la vendemmia, le castagne, i funghi, il profumo del bosco bagnato e la svinatura.
Giunge l’Inverno, momento di riposo e ripensamento. Le ore buie aumentano, portando una sottile angoscia per ciò che si sta per concludere. Aiuta la meditazione e riporta il buon umore il senso del tempo da dedicare alla famiglia grazie alle feste natalizie. Anche se la nascita di Gesù è solo una favola, una leggenda, una fake news, lo stare insieme all’interno, rassicura e rallegra. Rallegra farlo intorno a una tavola più lunga del solito per accogliere persone non viste da tempo, ritrovate davanti a dei tortellini in brodo di cappone e una bottiglia di Lambrusco sapido e dall’acidità vivace. Se al contrario si è più portati a pensare “parenti serpenti” e a invocare Erode per fare fuori una pipinara** maleducata, un bicchiere-due-tre di quel Lambrusco più carico e importante possono distrarre dall’agonia festiva.
L’ultima volta che mi sono trovata ad avere a che fare con questo vino è avvenuto nella sua terra d’origine, rimasta nel mio dna grazie a dei nonni importanti che consideravano il Lambrusco casa loro come le lasagne. Per l’appunto un bicchiere di vetro spesso, capiente e colmo del liquido rosso scuro, appena appena schiumoso, rimasto senza nome perché mi sono dimenticata di chiedere e di fotografare, è stato svuotato con cadenza regolare mentre altrettanto regolarmente smantellavo una porzione contadina di lasagne classiche, le migliori da tempo immemorabile. Al primo piano di un palazzo di fronte al Mercato Albinelli di Modena c’è una trattoria che non accetta prenotazioni, chi prima arriva, mangia. Ho aspettato quaranta minuti prima che aprisse a mezzogiorno ed ero già la seconda della fila. Quando il portone si è aperto, le due sale del ristorante si sono riempite in un battibaleno. Il conto è stato risibile, come rapporto qualità-prezzo-gentilezza e rapidità di servizio la Trattoria Aldina si merita undici stelle e mezzo.
C’è molto di personale nella mia scrittura in cui defluiscono alcuni ricordi in cui il colore brillante del vino è sempre presente. I ricordi sono allegri, momenti di contentezza perché il Lambrusco è sempre e comunque un vino gioioso, evita malinconie esistenziali e masochiste. Il Lambrusco è la parte migliore del vino popolare, nato in luoghi piatti e nebbiosi, molto freddi o molto caldi, prodotto dove non penseresti mai possa venire fuori un vino così particolare, identitario, diretto e senza fronzoli.
Il Lambrusco è la prova come spesso l’italica verità sia spiazzante e quasi incomprensibile, per una volta però onesta.
* Giosuè Carducci
** vernacolare per indicare una frotta di ragazzini rumorosi

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