
di Raffaella Guidi Federzoni
Non ci sono più le svippone di una volta, non ci sono del tutto. Quelle ragazze appena tornite, fasciate in tutine di latex, o le signore/signorine di coscia e stinco corto, slanciate da tacchi e calzature a zattera, o femmine fiere di mostrare un davanzale procace, persino decorato da tatuaggi. Insomma, quella fauna vinitalesca che faceva gridare allo scandalo estetico a ogni passata edizione. Se ce n’erano durante il Vinitaly appena trascorso, non le ho notate. Solo qualche pallido esemplare molto discreto nelle scollature e nell’abbigliamento.
Passata la botta della pandemia, l’anno scorso si avvertiva una certa cautela nel proporsi e nello scrivere a riguardo. Tutti uscivamo provati dall’esperienza di una vita e ci muovevamo come naufraghi approdati in una terra straniera ancora da conoscere.
Quest’anno siamo diventati i conquistadores, abbiamo piantato qualche bandierina in più e incontrato trib… ehm, popolazioni di nazioni nuove, interessate al vino.
La mia personalissima opinione è che nel Vinitaly 2023 si sia parlato più seriamente di vino, in tutti i suoi rivoli espressivi ed etici. Certo non sono mancati i politici, credo che gran parte del Consiglio dei Ministri sia transitato fra i corridoi e i padiglioni. Improvvisamente, di fronte al nostro bancone di assaggio si sono assembrate truppe di vari esponenti dell’Arma: Carabinieri, Alpini, Esercito, Aeronautica, mancavano solo i Bersaglieri; il Ministro della Difesa stava entrando nello stand di fronte [la concorrenza] assai più ampio e lussuoso del nostro.
Si è trattato comunque di un diversivo breve che non ha danneggiato il nostro lavoro.
Sono soddisfatta per i risultati, anche se riconosco di essere privilegiata dalla denominazione e dall’azienda che rappresento. Soddisfatta pure per gli assaggi che sono riuscita a fare, scappando di corsa dalla mia postazione e tornando ancora più di corsa. Per questo preferisco la Prowein, gli italiani sono concentrati in un paio di hanga…ehm, halle; non si tratta di un aeroporto sconfinato come lo spazio fieristico di Verona. Così ho dovuto volare lontano per salutare i miei amici, antichi e recenti. Sono stati voli brevi, quasi radenti il suolo.
I primi sono avvenuti nei dintorni: in Maremma meridionale, dove alle nove di mattina ho degustato la batteria di una produttrice* che fa della polpa e del frutto un suo segno distintivo, abbandonando un eccesso di legno che in passato penalizzava l’identità del luogo di nascita. A seguire mi sono fermata a Rufina, zona discreta e un poco boschiva, qui ho avuto la fortuna di scambiare quattro parole con il produttore*, un uomo affascinante e schietto, come il suo Chianti base che mi ha colpito per la misura calibrata dell’espressività, irresistibile.
L’importanza dei “modelli base” viene tutt’ora trascurata, purtroppo il mercato-la critica-gli enofichetti vogliono tutto quello che costa di più; in realtà gli stipendi e anche qualche mutuo si riescono a pagare grazie proprio alle Cenerentole prodotte in quantità tutti gli anni, non solo nelle annate glorificate.
L’ennesima prova l’ho avuta nello spazio felpato che il Consorzio di Bolgheri riserva ai visitatori, dopo che gli stessi hanno compilato una scheda poliziesca – dovuta all’eccesso di scrocconi -. Durante gli scarsi minuti a mia disposizione, ho assaggiato le annate più recenti delle linee “minori” dei miei tre produttori preferiti in zona*, scelti perché più spigliati e meno ingessati nell’armatura di nobiltà e fama che costringe i loro vicini a una prestazione se vuoi impeccabile, ma spesso noiosa.
Per finire con la terra tosca, l’ultimo giorno ho svoltato un paio di volte e in meno di cento passi ho degustato la versione giovane, ma non troppo, del Sangiovese di casa. Si è trattata della vendemmia 2021, appena imbottigliata*. Cari lettori, che dire? Questa annata nei miei assaggi per ora non numerosi si sta rivelando sorprendente, nel frutto, nello slancio, nella succosità, nella fragranza floreale, nella promessa di una profondità futura. Il vino di cui sopra è un esempio lampante.
Si badi bene, ho scritto “sorprendente” non “eccezionale”; questo termine lo lascio agli espertoni e a chi decide stelle, ecc.
Uscendo dalla comfort zone toscana, ho compiuto un rapidissimo blitz in Veneto, per ritrovare una mia coetanea, altrettanto eccentrica della sottoscritta ma molto più agguerrita in termini di coGnoscenza enoica*. Alla sua abituale batteria di vini, sempre completi e riconoscibili in termini di equilibrio e identità, si sono aggiunte un paio di novità altrettanto invitanti e inevitabili per chiunque voglia avventurarsi nel biodinamico buono e giusto senza sbavature.
Ho terminato la visita purtroppo breve nello spazio occupato di Vignaioli Indipendenti, questa volta accompagnata da un amico dotato di curiosità, consapevolezza e ciglia folte ombreggianti occhi appena intorbidati dagli assaggi; come dire “sguardo che colpisce ma non affonda”.
Qui, fra l’atmosfera frettolosa delle ultime ore, alcuni inamovibili continuavano a mescere, sorridere, spiegare. Come un produttore nizza-monferrino*, giganteggiante nel linguaggio del corpo e in quello delle sue Barbera, impeccabili e succulente in tutte le versioni: fresche o mature, immediate e complesse. Al maschile testosteronico senza arroganza ha fatto da contrappunto la femminilità elegante e aggraziata di una donna che è la perfetta testimonial dei suoi vini eterei, fioriti, delicati e lunghi, tanto lunghi; vini che lasciano il segno*.
Un segno indelebile e una conferma mi hanno trapassato mentre sorseggiavo le prove enoiche di un produttore langarolo*; dalla più semplice alla più impegnativa si avvertiva la cura nell’integrare alla fragranza di fiori e frutti lo spessore di uve baciate da Dio.
Un poco traballante sono rientrata nella cuccia del mio stand, dopo aver salutato il mio compagno di assaggi che non traballava per niente, questioni anagrafiche.
A questo punto serve una spiegazione riguardo al titolo di questo prolisso post alterato. Faccio un passo indietro, di circa un giorno: mi trovavo al di fuori per fumare la mia sigaretta d’emergenza, era primo pomeriggio, ormai avevo perso nozione del tempo. Il mio sconosciuto compagno di fumo aveva voglia di chiacchierare “Dopo i politici, abbiamo pure avuto Panatta”. Stupita, ho chiesto se il Panatta fosse proprio l’Adriano. “Sì è venuto anche lui.”
Ma come? L’idolo della mia adolescenza, la statua umana a cui avevo chiesto l’autografo un pomeriggio di mille anni fa, non una ma ben cinque volte – tanto non mi guardava nemmeno di striscio -. Lo sportivo perfetto che spopolava agli Internazionali di Roma, accompagnato da quella scucchiona seccarda di Mita Medici, mi aveva firmato frettolosamente il programma tenuto nella mia mano sudaticcia e tremante. Poi mi aveva voltato due spalle che avrebbero fatto la gioia di Michelangelo.
Ma come? L’Omo era passato in Fiera e nessuno mi aveva informato? Ai che dolor!
La sera nella stanza di un albergo anonimo e periferico mi sono connessa per ascoltare la rapida intervista della mattina. Ho sofferto di nuovo nell’ascoltare Adriano Panatta dichiarare coram populo che sì, collaborava con un produttore di Prosecco e metteva il nome e la faccia per un prodotto da lui definito BEVANDA.
Ma come????? Il Mito, nonostante fosse diventato panzone e bolso, aveva retto fino a quel punto, ma se mi definisce quella categoria di vino solo una bevanda, non so se il cuore ce la fa (cit.).
Il giorno dopo, appunto di fronte al banchetto di un Vignaiolo Indipendente e amico*, ho puntigliosamente degustato tutte le espressioni di una tipologia così maltrattata da un mercato che vuole bibite e non vini e mi sono rallegrata, con una punta di amarezza. Per Bacco-Baccone, qui si tratta di vini, con la loro freschezza, identità e irreprensibile fattura. Qui si tratta del respiro e del sorso lunghi e inarrestabili procurati dall’interpretazione niente affatto banale di un vitigno che non è fautore di bevande. Purtroppo, non è quasi mai così, ma quando lo è, è magnifico.
Sbaraccato lo stand, chiusa la valigia, a casa, a casa.
*In ordine di apparizione: Le Pupille, Selvapiana, Le Macchiole, Giacomo Satta, Fabio Motta, Michele Satta, Fuligni, Corte Sant’Alda, Cascina Garitina, Maccario Dringerberg, Sobrero, Bele Casel.