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Francesco Beghi
Marco Bolasco
Giovanni Bietti
Fabio Cremonesi
Francesco Falcone
Ernesto Gentili
Giampaolo Gravina
Carlo Macchi
Alessandro Masnaghetti
Pierluca Proietti
Giampiero Pulcini
Gae Saccoccio
Marco Veneziani
L’ispirazione per questo post alterato mi è stata data da un ottimo pezzo di Franco Ziliani. In poche righe il giornalista esprime lo sdegno per una campagna promozionale ridicola che riduce l’onorabilità di un vino ad una bevanda estiva buona giusto per tronisti cerebrolesi. Purtroppo avrà successo.
Mi premetto di riprendere tale scritto, e spero che Ziliani non me ne voglia, perché, ahimé, l’utilizzo del molesto cubetto travalica i nobili orizzonti vinosi.
Trevinano è una frazione del Comune di Acquapendente e conta duecento anime. Siamo nella sottile lingua di terra dove il Lazio si insinua tra la Toscana e l’Umbria. È dominata dal Castello, da secoli di proprietà dei Principi Boncompagni Ludovisi, e a nord-ovest vede distintamente il Monte Amiata.
È uno di quei posti dove non arrivi per caso, perché la Cassia oltrepassa velocemente Acquapendente mentre si appresta a entrare in Toscana senza neanche volgere lo sguardo verso la strada che, con modi tortuosi ma svelti, si inerpica agli oltre 600 metri del crinale che divide questa vallata da quella che declina dolcemente verso Orvieto, attraversando la riserva naturale del Monte Rufeno.
Seguire la moda non è un problema né un delitto, a patto che si faccia in modo consapevole. Nel campo del vino il percorso degli ultimi due decenni è facile da tracciare. Con tutte le semplificazioni del caso, si è passati da vini che cercavano sempre più ossessivamente di dare sensazioni di pienezza, morbidezza, dolcezza, avvolgenza, a vini che – al contrario – siano molto freschi, molto snelli, molto vivi sul piano dell’acidità e delle componenti sapide (sali, e i famosi lati minerali).
Me lo ritrovavo a tavola, una media di 36 domeniche all’anno. Moltiplicato per 18 fa 648. Arrivata alla maggiore età avevo già fatto fuori un migliaio di esemplari, considerando i numerosi extra infrasettimanali. Una volta adulta lo sterminio alimentare non si è fermato: cosce, ali, petti, in giro per i quattro continenti da me battuti. Il pollo è ovunque, più della pizza e degli “spagheddi”.
Ebbene, confesso che tutt’ora mi pongo la domanda che da il titolo al post. Se mi è bastato molto meno per memorizzare sensorialmente il gusto del manzo, dell’agnello e persino del coniglio, quello del pollo mi lascia un vuoto. Non so di che sa.
In questo periodo di assaggi ossessivi il fisico dell’anziano assaggiatore tende classicamente a mandare segnali di protesta, sotto forma di colorito itterico, bocca impastata e difficoltà a digerire anche un grissino.
Si fa d’altra parte una vita antisana per eccellenza. Tanto che – in epoca di svuotamento cranico planetario – potremmo lanciare una moda e magari avere successo: siete stanchi di avere vent’anni e quell’aspetto fresco, riposato, luminoso? avere voglia di dimostrare una trentina d’anni in più con poco sforzo? Ottanta vini al giorno, sei ore seduti davanti al computer per sei mesi, e il gioco è fatto.
Da noi si beveva quotidianamente rosso toscano. Da settembre fino circa a Natale in fiaschi confezionati dalla mamma con l’aiuto della sottoscritta, imbottigliando il vino sfuso comprato in Maremma poco prima del rientro a Roma dopo le vacanze. Per Natale e Capodanno erano d’obbligo il Lambrusco e l’Asti Spumante, il primo piaceva alle nonne, il secondo ai bambini. Passate le feste, arrivavano in tavola fiaschi di Chianti di qualità mediocre comprati a prezzo molto contenuto. Nei due mesi estivi si depredavano le casse di Bianco della Cantina Sociale di Locorotondo, bottiglie ordinate da papà e bevute da me e da mio fratello rimasti in città a far finta di studiare o lavorare.
Rubrica dedicata ai grandi italiani, da Dante a Leonardo, da Leopardi a Totò, da Caravaggio ai suoi grandi conterranei Gadda e Pozzetto. Il Pozzetto anni 60 e 70, beninteso. Tra le opere più alte dell’ingegno italico, la trasmissione il Poeta e il Contadino. Dove tutto o quasi era di qualità elevatissima. Sigla: l’ouverture omonima di Franz Von Suppé. Testi di Pozzetto, Ponzoni, Fo, Iannacci. Regia di Beppe Recchia (regista del mitologico Onda Libera di Benigni del 76; meno nobilmente, ma sempre con tono ispirato, del fininvestiano Drive In, inizio della fine per la nostra penisola*).
Una rubrica di carattere squisitamente goliardico: goliardia che è una delle due facce dell’espressione alterata (l’altra è quella del cazzeggio puro). La terza faccia della medaglia è ovviamente quella della serietà, della profondità, della qualità, soprattutto della modestia accademica.
Il Nuovissimo Borzacchini (ed. Akademos, 1992) è un dizionario di termini dialettali livornesi, nella maggior parte dei casi grevi e grevissimi. Opera insigne di Giorgio Marchetti, già firma storica del Vernacoliere, raccoglie in uno stile originale il meglio delle parolacce e delle espressioni labroniche più politicamente scorrette; anzi, non scorrette, in certi casi proprio criminali. Avvertenza: se il vostro limite di tolleranza alle volgarità arriva al massimo a “corbezzoli”, “accidempoli”, “perbacco”, “porca miseria”, vi consigliamo caldamente di non proseguire la lettura.