
di Pierluca Proietti
Un mio amico che vive da anni negli Stati Uniti mi raccontava poco tempo fa che oggi nei luoghi più indie del vino a New York si pratica una tecnica dissuasiva nei confronti degli esperti frequentatori più o meno famosi, volta a lanciare indizi ermetici che insieme compongono un puzzle magnificamente coerente, regalando piaceri per la mente. Si propongono dei rebus e si entra nel club solo indovinando.
Pur essendo difficile raccogliere dei dettagli comuni per tutti questi posti, si può con certezza affermare che l’arredamento, i gestori, i clienti, partecipano attivamente a questo processo di mimesi enologica, spiazzando anche l’esperto più smaliziato e autoironico. Dopo ricerche forsennate sulla rete, scopro una settimana fa che anche in Italia qualcosa comincia a muoversi: due stranissime nuove aperture, una nel nord est, l’altra nel centro, vicino Perugia. Apparentemente posti normalissimi, ma alcuni indizi che per brevità non elenco, stimolano il mio sesto senso navigato nel settore.
Difficile resistere, sono andato.
Arrivo verso le sette di sera, qualche tavolo fuori come in un semplice wine bar, musica spiazzante da subito: mi accorgo che sotto la coltre di suoni a frequenze basse e a volume altissimo ripetute ciclicamente, si nasconde l’intenzione di stimolare i recettori più sensibili ai grandi vini. Mi chiedo: stasera si rodaneggia? Domanda sbagliata, vengo subito spiazzato da un pastore tedesco che esce scodinzolando. La proprietaria, giovane e spigliata, si dirige verso il tavolo dove nel frattempo mi sono seduto.
Capto le frequenze di chi la sa lunga sul vino solo dopo aver incrociato i suoi occhi nascosti (in perfetta mimesi) sotto occhiali molto techno. Il resto del suo abbigliamento segue la linea: jeans neri strettissimi ed elasticizzati, casacchina verde divorata dal cane, sneakers ed enormi tatuaggi. Ovvio tentativo di indurre alla deconcentrazione, depistaggio in cui non cado. Viene verso di me, ma camminando si gira di pochissimo, mostrando uno dei simboli stampati sulla sua pelle: “è tutto un equilibrio sopra la follia” c’è scritto a caratteri gotici sulla sua spalla. Ok, la sfida è lanciata. Ma non voglio dare che qualche segnale anche io, anche se incisivo.
Le chiedo: “Avrei voglia di un bianco, cosa avete?”. Non mi azzardo a chiedere la carta, troppo banale.
“Ascolti”, fa lei con tono perentorio, quasi dittatoriale, “Noi qui abbiamo bianchi secchi o fruttati”. Caspita, mi dico, qui inizia l’enigma, mi sta suggerendo forse interpretazioni tassonomiche innovative rispetto ai processi di macerazione pellicolare? No, troppo semplice. Cerco di guadagnare tempo e per capire dove vuole andare a parare piazzo una domanda obliqua. “E può dirmi quali secchi e quali fruttati avete?”. “Allora”, fa lei, “di bianchi fruttati IusTramine, Malvasia del Salento e Zibibbo, di bianchi secchi Verdicchio di Matelica, Trebbiano d’Abruzzo e Passerina” (sorridendo in modo ammiccante dopo aver pronunciato proprio Passerina). Ok, mi dico, è sfida culturale a tutto tondo.
Se non supero questa prova, mi ritiro dalla privata lotta contro la mia ignoranza del gusto. Provo ad unire i punti del suo discorso cercando analogie nella fonetica e nel significato di parole e gesti: Abruzzo, Passerina, Ius Tramine, il Salento, Matelica…i riferimenti sono quelli di un percorso storico geografico, c’è un editto viticolo di mezzo (la voluta storpiatura Ius Tramine) che dialoga con un esplicito riferimento alla sensualità fonetica della Passerina e con un esotica denominazione pugliese. In dieci secondi riavvolgo il nastro di letture, degustazioni, esperienze di una vita. Nell’insalata mnemonica si autoassociano anche la prima volta che ho fatto retromarcia con il trattore+rimorchio, la pizza bianca della maestra alle elementari e la perfezione del numero tre nel ritmo musicale.
Intanto sento che qualcosa si muove, forse ci sono. Anzi, ci sono!!. Il fil rouge è F-E-D-E-R-I-C-O-II-D-I-S-V-E-V-I-A!!!. Nato a Jesi e morto in Puglia, feroce protettore delle sue sconfinate terre ricche di bianchi per le sue corti, tanto da emanare numerosi editti a protezione della qualità. Incoronato nel Reno, promotore della poesia attraverso la Scuola Siciliana, educato dal conte abruzzese Pietro da Celano, a Melfi praticava la caccia con il “falcone” (lo sapevo che erano abbonati di Enogea), tradito, come ricorda Dante, da Pier delle Vigne.
Spinto dall’entusiasmo pronuncio ad alta voce il nome dell’imperatore, sentendomi parte del suo regno e di questo circuito super elitario della sapienza tout court, che vede nel vino la fiamma della curiosità sul mondo. Lei mi guarda, poi fintamente stupita si gira verso i clienti. Io finalmente mi distendo, in attesa della proclamazione dalla bocca della finta-ragazza-grezza-che-la-sa-lunga.
“Le porto un po’ di stuzzichini intanto che ci pensa?”, fa lei.
Rimango spiazzato. Come gli stuzzichini?! E’ un aiutino? No, non ci credo, ho sbagliato. Non era la risposta giusta. Il tempo si ferma, mi sembra di essere in una camera anecoica, come quando ti senti preparatissimo e fallisci un esame. Gli altri si girano verso di me, sguardi laconicamente superiori: non capisco se trattengono sconcerto o le risa. Improvvisamente stremato tiro giù la maschera.
“Cosa ho sbagliato?”. “In che senso?” fa lei “Vedo che è indeciso e le do un po’ di tempo per pensare”. Mi vuole dare un contentino di sicuro, ma io non ci sto. Mi carico del mio orgoglio e sparo a caso.
“Non sono indeciso” le dico “mi porti il Verdicchio”. Accenna un sorrisino mentre abbassa lo sguardo e finge di scrivere su un taccuino per le comande.
Forse c’ho preso, ma la delusione è mista ad amare consapevolezze. Mi domando quanta strada ci sarà ancora da fare per raggiungere qualche risultato decente. Ma nello stesso tempo nutro dubbi su un gruppo che si professa elitario e poi da una seconda possibilità. Il solito sistema italiano di fare le cose a cui non mi sento di appartenere. Aspetto il vino, lo consumo velocemente mentre penso che le cilindrate ridicole dei diesel attuali hanno definitivamente distrutto la gloriosa storia dell’automobile.

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