Report a nove anni dal report di dieci anni

di Fabio Rizzari

Ripropongo oggi (non a caso il giorno dopo la festa dell’Immacolata Concezione) un testo scritto nel 2014 che riassume la deprimente esperienza diretta vissuta con la trasmissione Report dieci anni prima.

A soli dieci anni di distanza (i miei tempi di reazione sono un po’ lenti) trascrivo alcune considerazioni sulla famosa/famigerata puntata di Report In vino veritas del settembre 2004.
Con una premessa, non scivolosa ma autentica: vedo regolarmente la trasmissione della Gabanelli e dei suoi colleghi, nella grande maggioranza dei casi la trovo seria, stimabilissima e coraggiosa.
Lo stesso non posso dire di quel reportage, un guazzabuglio evidentemente abborracciato nelle fonti, caotico e pregiudiziale nell’assunto di base, a tratti deontologicamente scorretto.

Posso affermarlo con una testimonianza diretta. In estate vengo chiamato da Bernardo Iovene, il responsabile dell’inchiesta, per avere pareri e informazioni. Dopo qualche telefonata ci accordiamo per permettere alla loro troupe di fare delle riprese mentre Ernesto e io degustiamo per la nuova edizione della nostra guida.

L’incontro si svolge a Firenze. Durante l’assaggio, Iovine fa domande e raccoglie le nostre opinioni su pressoché tutto lo scibile vinoso, dagli antichi Sumeri a oggi. Cazzate o meno che fossero, era materiale che testimoniava la nostra visione del settore.

Verso la fine, manifestamente deluso di non aver potuto registrare qualcosa di meno insipido, ci tende una trappola, nella quale cadiamo come veri tonni. “Ok, questi vini vi piacciono, più o meno, ma fatemi vedere cosa direste di una bottiglia veramente cattiva”, ci fa. E noi, con il filo dell’amo che già pendeva dalla bocca, di rimando “Questo è agghiacciante”, “Sono sbriciolato”, e altre amenità goliardiche (cfr la trascrizione nel sito di Report; io sono “Rizzardi” e Ernesto è “Gentilini”).

Bene, anzi maluccio fin qui. La vera scorrettezza arriva in fase di montaggio, dove le nostre parole, artatamente isolate dal contesto, vengono fatte precedere dalla dichiarazione di idoneità di due Chianti presso la locale Camera di Commercio.

Lasciamo perdere la figura di coglioni, che ci importa (poco) solo sul piano personale, e veniamo all’aspetto importante in questo post: qual è stato il risultato per lo spettatore? Questa successione di “fatti”: i commissari della Camera di Commercio dichiarano idonei due vini toscani, noi spariamo termini dispregiativi su “vini toscani”, ergo – per il gioco del montaggio e dell’accostamento – “forse” le cose non stanno come dicono quelli che devono dichiarare l’idoneità di un vino.

Mi pare tutto meno che giornalismo serio. Tralascio altri elementi dubbi del resto della puntata, che pure sono rilevanti. Così come evito di commentare, perché autoevidenti, i vari pregi dell’inchiesta. Diluiti però in un mare di confusione e quindi indistinguibili per lo spettatore non addentro alla materia. Riassumo i punti per me decisivi: a) del buon giornalismo non può machiavellicamente anteporre il fine ai mezzi; b) va benissimo strutturare un’inchiesta a tesi, purché le fonti siano scrupolosamente vagliate e si offra una visione coerente, ancorché di parte, del soggetto.

In questo caso chiunque conosca un poco il mondo del vino legge in molti passaggi approssimazione, forzatura della realtà, scandalismo a basso costo più che scrupolo anglosassone e reale approfondimento giornalistico. Il che non fa onore a una trasmissione che di solito si muove su ben altri livelli di autorevolezza e trasparenza.

Dopo la messa in onda ho scritto diverse email, indirizzate sia alla redazione che alla Gabanelli (non ricordo come mi sono procurato il suo indirizzo personale). Nei vari messaggi dicevo più o meno le stesse cose che ho trascritto qui, stima, dispiacere, dubbi, eccetera.
Non ho avuto nessuna risposta.

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