
di Giampiero Pulcini
Non passi inosservata, arrivo per incontrarti. “Io solo cose belle”, premetti a casaccio; il verbo mancante e il Gimlet che ti ha preceduta mi dissuadono dall’approfondire. Io Tarzan, tu Jane. Chiedo un Martini Cocktail per compensare la tua molle stretta di mano. Il bartender capisce, dosa voce e presenza nella stessa misura del vermut. Occhi fissi sulla coppa che riluce di freddo, come me.
La cena degli auguri con le colleghe, la visita in cantina con le colleghe, l’aperitivo del venerdì con le colleghe. Sei oltre la rucola. Setacci il cellulare per dare supporto fotografico alla condivisione. Simulerei interesse per educazione ma non me ne frega veramente un cazzo, perdonami.
Supero in Fosbury la ricognizione sommaria – “giusto per curiosità” – dallo stato anamnestico a quello di famiglia con sbirciata alla dichiarazione dei redditi. Rassicurata, ti apri. E così il tuo ex t’ha mollata per una di vent’anni più giovane. Bravo, ci vuole coraggio. Ah, è cocainomane. Bene; insomma, dispiace, s’è ficcato in una prigione peggiore di quella da cui è evaso venendo via da te.
Vi siete visti per ricucire: è entrato in casa con un mazzo di rose e ne è uscito zoppicando dopo aver sfasciato con un calcio l’oblò della lavatrice. Ti segue. In macchina, a piedi. L’hai visto aggirarsi in giardino, di notte, dalla telecamera a circuito chiuso. Il cane abbaiava, lui trafficava nella siepe di alloro cercando – pare – le chiavi del garage dove un tempo infilava la Porsche.

Non sono pronto per questo. Devo salvarmi anch’io. Il Martini non è la soluzione ma mentre bramo una soluzione ordino un altro Martini che renderà la soluzione introvabile. Eclissi con la pisciarella, atollo trasparente in un mare di disagio. Il gin cesella l’ologramma dei miei pensieri traducendoli in olive e cubetti di ghiaccio.
Sollecito dei vol-au-vent sbagliando pronuncia (“volavén”); vorrei dare respiro al tuo soliloquio, mi volto e non ci sei più. Potrei aver gorgogliato qualcosa di sconveniente quando hai detto che il tuo autore preferito è Fabio Volo, o forse è bastata la faccia di merda che metto nei momenti in cui vengo risucchiato dal pessimismo. Ho persino l’incoerenza di restarci male. Cancello stizzito il tuo numero dalla rubrica, infantile ripicca che elimina almeno la trappola alcolica di rattizzare la brodaglia di frasi fatte su Whatsapp.
Attendo il terzo Martini ignorando stoicamente salatini e pizzette, conservarmi snello mi farà sentire meno marcio domani. Resistere, resistere. Squadro dall’alto in basso i bevitori di Campari, appollaiato sul trespolo di un ottuso snobismo. Diverso da cosa? Diverso a che pro? La nebbia di Dicembre divora ogni velleità distintiva. Mi lascio ingoiare avanzando petto in fuori, gonfio del mio veleno, se non sbaglio strada in un quarto d’ora di cammino sarò steso sul letto. Quanto basta per realizzare d’aver affrontato l’ennesima battaglia che non esiste e che tuttavia, ancora una volta, ho perso.

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