Il lato nascosto

di Raffaella Guidi Federzoni

Niente accade per caso, nella vita e nel vino. Quando poi la vita e il vino si intrecciano in uno sviluppo inaspettato il risultato è un piccolo scossone durante la noia di una fiera ammosciata.
Non è una novità per chi è del settore che la da poco conclusa Prowein – una volta scoppiettante di presenze – sia stata un mezzo flop. Colpa di Parigi? Staremo a vedere.

Certo è che stavo lì, le ultime ore dell’ultimo giorno, facendo due calcoli e sentendomi colpevole della spesa e pensando alla mia vita personale arricchita di recente, sentendomi vieppiù colpevole per essere da una parte invece che dall’altra. Stavo lì e pensavo ai pochi assaggi fatti, tutti buoni ma in qualche modo già risaputi. Stavo lì con le mie scarpe basse e caviglie gonfie.
Stavo lì in attesa che finisse.

Poi una lampadina di memoria si è accesa. Un appunto di qualche mese prima, scritto da un alterato sodale e dal fiuto infallibile*, un paio di frasi distrattamente ascoltate il giorno precedente, hanno provocato il mio attraversare un paio di stand per tendere la mano verso un giovane uomo sconosciuto “Ma tu sei il figlio di…?”. Risposta sorpresa e affermativa.

La storia alle spalle è lunga e non mi ci soffermo se non per incorniciare un sorriso convincente e vini ancora di più, ambientati nella zona meno esplorata della Val d’Orcia. Quella parte oltre i confini dell’Impero Montalcinese, che viene sfanculata o del tutto ignorata perché non facente parte di un brand collettivo di rilievo.

La mia mano tesa era spinta dal ricordo di un folle e/o genio, vittima di circostanze familiari e per questo costretto a vendere proprio quando si trovava nel luogo giusto al momento giusto; un momento in cui le sue intuizioni e uno speciale senso del vino stavano fruttando fama e quattrini.
Di queste vicende ne è pieno il mondo, non solo il campicello enoico.

Il Nostro era scomparso da decenni, almeno per me. Ed ecco che era riapparso sotto diverse spoglie, con l’understatment di un nome non ricollegabile e in compagnia di un paio di visi appena similari, i suoi figli. Un certo intuito di cui mi pregio mi ha portato di fronte a bottiglie nuove, che significavano senza dubbio una buona dose di follia, autostima e – perché no? – genio.

Quindi, in preda a una forte botta nostalgica, ma con le papille allenate e imparziali, ho assaggiato, interrogato, cazzegiato. Insomma, mi sono divertita.
Dalle foto mostrate dal Figlio Architetto giustamente fiero per la realizzazione di una cantina funzionale, molto ben inserita e nient’affatto pretenziosa, si tratta senza dubbio di una bellissima tenuta, seppure nascosta ai più. Non ci si arriva per caso, come per le esperienze migliori bisogna rendersi disponibili alle deviazioni.

E i vini?
Per quanto riguarda i rossi, sono per me una conferma dell’infallibilità del sangiovese coltivato ai piedi di un vulcano spento, su terreni misti e complicati. Si tratta solo di aspettare che le vigne continuino a crescere e che l’interpretazione venga messa a fuoco per creare un’identità più spiccata; per il momento i vini sono molto ben fatti e destinati a un discreto invecchiamento, ma possono confondersi con una competizione vastissima.

Discorso diverso meritano i bianchi, questi sì partoriti dalla volontà di un folle e/o genio. Le spiegazioni me le ha fornite il Figlio Maggiore, condite da notevole ironia e lucidità. Il genitore larger than life era deciso a provare varietà non proprio tradizionali per la zona: non solo a bacca bianca, ma pure vitigni “forestieri” come gewürztraminer combinato con il moscato, l’immancabile chardonnay e persino – udite, udite – il sauvignon blanc da solo o combinato col petit manseng.

Beh… il risultato mi ha sorpreso in positivo, molto in positivo. Certo le prime annate prodotte sono ancora molto recenti, ma la piacevolezza, il potenziale, e una certa expertise del consulente bianchista**, regalano esempi di finezza ed equilibrio molto promettenti. Sono vini bianchi in grado di navigare anni in bottiglia senza perdere freschezza, vini di razza.
Qui in calce le mie sintetiche note di assaggio:

Macchialuna 2021 – Bianco Toscana IGT
60% petit manseng e 40% altre varietà a bacca bianca.
Vinificazione in solo acciaio.
Alcol 14%.
Colore: bianco pallido brillante.
Naso: ananas, albicocca, ginestra, calcare.
Bocca: ampia, calda e asciutta.

Moscaminer 2020 – Bianco Toscana IGT
50% moscato bianco 50% – 50% gewürztraminer.
Vinificazione in solo acciaio.
Alcol 13,5%.
Colore: bianco paglierino vivace.
Naso: mandarino, bergamotto, mughetto, pesca bianca. Estremamente pulito ma non spoglio.
Bocca: strepitosa, yin e yang, dolcezza e acidità, bella struttura.

Gisso 2021 – Bianco Toscana IGT
100% sauvignon blanc.
Vinificazione in solo acciaio.
Alcol 14%.
Colore: giallo oro tenue.
Naso: sfaccettato, pesca gialla, melone, gelsomino, una sfumatura cipriata, uva spina.
Bocca: sapida, nervosa, profonda, sorso lungo.

Chard’O 2020 – Bianco Toscana IGT
chardonnay 100%.
Fermentazione parzialmente in acciaio e parzialmente in tonneaux di rovere francese. Segue una  permanenza di circa nove mesi in tonneaux di rovere francese da 500 lt.
Alcol 14%.
Colore: giallo brillante di media intensità, con sfumature verdoline.
Naso: erba fresca, pane appena sfornato, salvia, timo, genziana.
Bocca: burro salato, pepe bianco, sorso elegante e slanciato.

Termino con un inchino simbolico a chi ha avuto il coraggio di ricominciare scegliendo una strada nascosta e accidentata e poi di fare un passo indietro per cedere il palco alla nuova generazione.
Ha fatto bene; folle sì, ma fino a un certo punto.

La Nascosta – Località Le Rovine, Castiglion d’Orcia (SI)
Starring Antonio, Luca e Nicola Mastrojanni

* Armando Castagno.
** Gerhard Sanin.

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