
di Raffaella Guidi Federzoni
Alla fine dell’ultimo inverno mi è arrivata la bolletta bimestrale del gas, triplicata rispetto all’anno precedente. Per questo motivo ho rinunciato a comprare due bottiglie di vino; infatti, la scelta era o di scaldarmi tutti i giorni nelle prime ore del mattino prima di uscire e nelle ore tardo pomeridiane-serali una volta rientrata, o di ubriacarmi un solo giorno per ciascun mese dimenticando il freddo per poche ore e poi assiderarmi nel restante tempo.
Due bottiglie valgono un tale sacrificio? Ovviamente no, questioni di budget.
Non per la prima volta mi sono chiesta come possa soddisfare la propria passione un essere umano né ricco né povero, ancora interessato al vino e a tutto ciò che gli gira intorno: produttori, luoghi, paesaggi, incontri e scambi di opinioni. Gli stimoli a conoscere vengono moltiplicati dalla facilità di comunicazione, non si finisce mai di imparare.
Ma come si fa se i più blasonati, i più unanimemente riconosciuti come ottimi e indispensabili, hanno ormai un costo ridicolmente alto? Ecco, l’ho scritto: “ridicolmente alto” perché una bottiglia contiene un prodotto agricolo riprodotto in centinaia, migliaia, centinaia di migliaia di esemplari, non un oggetto artistico unico e irripetibile.
“Questo è il mercato baby” esordisce sempre qualcuno con scarsa fantasia.
Bene, innanzitutto non sono la “baby” di nessuno, ma un essere autonomo pensante e ragionante, per quanto alterato. Secondariamente, sono decenni che mi confronto con IL MERCATO, per me un parente stretto anche se scomodo e quando si tratta di ciò la lotta è di non vendersi a un prezzo troppo basso, non il contrario.
La nicchia che compra vini fuori di testa come prezzo è una galassia a parte, anche se a suo modo importante. Si tratta di collezionisti spesso – ma non sempre – sboroni; acquirenti dotati di cantine simili a caveau di banche importanti che sfoggiano le bottiglie disposte come in un museo, godendo più di mostrarle che di berle. A volte sono grandi commercianti che usano le etichette intoccabili per fare fuori il grosso della loro mercanzia dietro il ricatto “se vuoi una bottiglia X ti devi comprare 12/24 del produttore Y”; oppure ristoranti stellati che mettono in lista grandi nomi costosissimi, anche se ne posseggono due o tre bottiglie al massimo.
Tutto ciò è lecito e legittimo, ma è la punta dell’Iceberg Mercato, quella che va direttamente da A a Z e lì rimane; il vino non gira, non viene bevuto, degustato, apprezzato e poi ricomprato. Questi vini non educano le nuove generazioni, non creano una costumanza con un certo gusto, non affezionano neofiti; sono vini che rimangono nell’Empireo e se per caso vengono sorseggiati da volonterosi che si mettono insieme per assaggiarne una bottiglia, comprandola rinunciando ad altre spese, quello che tocca a testa è forse mezzo bicchiere, forse meno. Perché soffrire così?
Per quella che viene chiamata “un’esperienza”.
Eh?
Vabbé, lo scrivo: per me l’esperienza umana Signora mia, non è questa, bensì potersi sedere un paio d’ore in contemplazione della Resurrezione di Piero della Francesca, o immergersi nell’ascolto di Maurizio Pollini che interpreta Beethoven, o persino fissare a lungo e in silenzio Marina Abramovich senza pensare a quanto ti prude il naso. Azioni che costano molto meno del prezzo di una singola bottiglia messa sul mercato con una faccia come il culo, perché è vero che un ettaro di vigna può raggiungere prezzi altissimi, è vero che il vetro-i cartoni- la carta- l’acqua-il gas l’elettricità sono aumentati parecchio, ma tu non puoi raccontarmi che la tua cantina nata l’altro ieri è popolata di supereroi che producono nettari unici usciti dalla magia di Panoramix il cui assaggio trasformerà per sempre la tua percezione del vino in particolare e dell’esistenza in generale.
Mi correggo, raccontamelo pure se vuoi, però non stupirti se poi ti volto le spalle. Stai tranquillo, troverai sempre qualcuno disposto a crederti e a spendere.
Torniamo alla domanda del titolo: A chi giova?
Direi a quattro categorie umane:
- A produttori la cui ambizione e anche la situazione finanziaria permettono il rischio di sparare alto. Di solito – almeno ufficialmente – la produzione di bottiglie è molto bassa e quindi lo smercio può avvenire lentamente, confidando in un sapiente e discreto tam tam promozionale, anche negativo [Qu’on parle de moi en bien ou en mal, peu importe. L’essentiel, c’est qu’on parle de moi !].
- A intermediari, cioè importatori-distributori-dettaglianti, che ci mettono un bel carico sul prezzo sorgente tanto anche se non vendono acquistano prestigio nei loro cataloghi e/o liste.
- A produttori in territori e denominazioni fino a poco tempo fa sconosciuti e ora assurti alla notorietà perché ancora dignitosi nei prezzi. Il Mercato è affamato di novità da scoprire prima che arrivi in queste nuove zone un qualcuno fuori di testa deciso a tirare fuori da lì il vino del Terzo Millennio, senza dubbio il migliore, il più ecosotenibile, il più filosofico, il più ancestrale, il più innovativo, il più costoso.
- Infine, a chi si ritrova respinto da prezzi e presunzione, ma vuole continuare nel cammino periglioso della conoscenza enoica senza finire sotto un ponte; chi non ha paura di mandarti aff…, ehm, via e di rivolgersi altrove.
Quindi non tutto è perduto, anzi, qualcosa viene guadagnato in termini di avventura e dinamicità. Andiamo avanti a percorre strade diverse, meno frequentate e inizialmente forse ostiche al palato, ma molto simpatiche al portafoglio.
