Layers

di Floriana d’Amely

Introduzione alterata

Ben prima che ne scrivesse Elena Ferrante, ho da decenni – dai primi anni Settanta – la fortuna di avere un’amica geniale. Anche se non ne è del tutto consapevole, Daniela d’Amely è un’artista. La sua modestia le rende infatti difficile soppesare il suo vero valore, che io stimo, tenendomi basso, in un punto di equilibrio tra Keith Haring e Rembrandt Harmenszoon Van Rijn.

Dopo un periodo di riflessione durato circa trentanove anni, Daniela ha finalmente deciso di mostrare al mondo il livello delle sue elaborazioni visivali. Il giorno 25 ottobre 2024 (domani, per chi legge oggi; oggi, per chi leggerà domani; ieri, per chi leggerà sabato; eccetera) saranno in mostra alcuni suoi lavori presso il Clivo Bistrot, Via del Clivo Rutario 63, Roma.
Di seguito ne rende conto la sorella Floriana, a sua volta dotata di eccezionale brillantezza, ma in campo linguistico/letterario/critico/storico/didattico.
Buona lettura.
F.R.

Vocali

A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
io dirò un giorno le vostre segrete origini
A nero, corsetto villoso delle mosche lucenti
che ronzano intorno a crudeli fetori,

golfi d’ombra; E, candori di vapori e di tende,
lance di fieri ghiacciai, bianchi re, brividi d’umbelle;
I, porpora, sputo di sangue, riso di belle labbra
nella collera o nelle ebrezze penitenti;

U, cicli, fremiti divini di mari verdi,
pace dei pascoli disseminati di animali, pace delle rughe
che l’alchimia scava nelle ampie fronti studiose;

O, Tromba suprema piena di stridori strani,
silenzi solcati dai Pianeti e dagli Angeli:
– O l’Omega e il raggio violetto dei Suoi Occhi!

Arthur Rimbaud

Dopo anni di estenuanti e per lo più improduttive diatribe familiari sul vero colore della A, del 4 o di Milano e del mese di Giugno, nel corso della sua vita creativa Daniela d’Amely ha poi virato questa modalità percettiva sinestetica verso una ostinata ricerca di senso, elevandola attraverso immagini e colori a sistema esistenziale, oltre che conoscitivo.

Attraverso i suoi layers, dai più vecchi e ‘didascalici’ ai più recenti e ‘astratti’, Daniela cerca di dare corpo a quegli sconfinamenti nel mondo prelogico che hanno a che fare non tanto con ciò che si stampa sulla retina, quanto piuttosto con ciò che si annida dietro le palpebre quando gli occhi si chiudono: le immagini che emergono attraverso la sovrapposizione tra oggetti irrelati e fitte tessiture cromatiche sono i fosfeni che tanto ci piacevano da bambini, quando riuscivamo a prolungare dietro gli occhi chiusi, che non volevano ancora dormire, delle iridescenze di luce e di colore che attenuavano il buio della notte tenendo accesi al minimo i motori della vita, benché smarginandone i dati di realtà.

I layers di Daniela d’Amely sono caleidoscopi sensoriali in cui si condensano visioni estemporanee come pure lunghi processi esistenziali, per cui, e per fare solo un esempio, si può stare a bagno in un’acquasantiera con accanto una fetta di arancia come pure in una pentola di brodo di pollo con una cipolla o un sedano per spugna. Le immagini che si moltiplicano in questi layers non hanno mai un valore descrittivo, ma sempre e soltanto evocativo o ludico: sono condensazioni oniriche che rimandano al mondo interiore dell’autrice e che inducono lo spettatore a fare i conti con il proprio, a ricercare i propri fosfeni, a sgretolare con assoluta naturalezza la logica della razionalità a vantaggio di un initerrotto e indisturbato processo metonimico e sinestetico.

Daniela d’Amely ci offre le lenti dei suoi layers per guardare la vita attraverso una costante sovrapposizione di dati – oggetti, volti, scorci – sistematicamente scorporati dai loro contesti e perciò bisognosi di volta volta, direi a ogni sguardo, di essere risemantizzati: ogni dato perde la propria tridimensionalità oggettiva proiettandosi verso una tridimensionalità collettiva, che è insieme centrifuga e centripeta; come nella realtà onirica, in essi la vita fluisce senza alcun confine preciso, senza nulla di già scritto o di cristallizzato in forma definitiva e già data.

Questi layers non chiedono dunque uno sguardo analitico-descrittivo, se non nel piacere di scoprire, per esempio, un volto mimetizzato dietro un camouflage, ma uno sguardo capace di abbandono, uno sguardo permeabile e, per questo, vitale e vitalizzante come già i richiami dei loro ripidissimi cromatismi.

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