Uve in sciopero. Dialogo di un vitigno autoctono e di un viticoltore

di Giampaolo Gravina

Premessa
Giampaolo Gravina è morto il 6 febbraio scorso in una stanza d’albergo di Cormons, nel Friuli che tanto amava. Avrebbe compito 59 anni a maggio. Noi alterati per il momento abbiamo deciso di non accettare la sua scomparsa e di pensare che sia in uno dei suoi frequenti viaggi, magari un po’ più lungo del solito.
In questa negazione ci dà una mano Sonia, la sua compagna di una vita, che nel computer di Jean-Paul sta ritrovando una messe di testi, molti dei quali inediti: il post che pubblichiamo oggi – per quanto ne sappiamo – non è mai apparso in altri siti.
Contiamo di farci accompagnare dal Giampaolo autore, filosofo e critico ancora a lungo, attraverso i suoi scritti.
E aspettiamo di rivederlo in una delle prossime tavole alterate: ovunque sarà, in questo terzo pianeta del sistema solare (in base alla distanza dalla sua stella) o altrove.

Introduzione

Tostolello, Raviso Nero, Ferrante, Uaccione e Magnaguerra sono alcune delle varietà storiche di uva presenti da sempre in Umbria, nel comprensorio dell’Amerino, e oggi in via di progressiva, inesorabile estinzione. Non sappiamo se da questi vitigni, autoctoni per eccellenza, sarà mai possibile ottenere un vino degno di qualche interesse; ma per lo meno sappiamo che esistono, dal momento che una prima ricerca universitaria ne ha definito i caratteri genetici, grazie alle tecniche della biologia molecolare.

Rispolverando i suoi natali amerini, Giampaolo Gravina ha immaginato un dialoghetto scanzonato, che dietro la minaccia di un ammutinamento mettesse in scena tanto le possibili ragioni dei vitigni autoctoni, quanto le eventuali perplessità e obiezioni di un anonimo vignaiolo locale.

 Uve in sciopero. Dialogo di un vitigno autoctono e di un viticoltore

Viticoltore
. Hai troppo sole, poco sole … cos’è che vuoi? Più acqua, meno acqua … perché non parli? Rispondi!

Vitigno. Ma quanto sei patetico …

Viticoltore. Che te possino! Allora avevano ragione i vendemmiatori: quassù in collina gli autoctoni fanno polemica … sentiamo: perché avreste deciso di non maturare?

Vitigno. E ce lo chiedi pure? Con tutto il Merlot che hai piantato giù a valle solo per fare contento quello scienziato del tuo consulente! Ma dove credi di arrivare con queste scorciatoie da furbetto? Non ti accorgi di quant’è anacronistica questa tua idea di vino? Il futuro siamo noi, è su di noi che dovresti scommettere …

Viticoltore. Voi? Gli autoctoni? Ma non scherziamo, dai! Siete solo un fenomeno di nicchia, una moda passeggera. Ci s’interessa a voi come si fa con gli animali in via di estinzione, non certo per la qualità del vostro vino.

 Vitigno. Ah sì? È dunque per compassione che non ci avresti ancora spiantato? Ma non eri tu che avevi commissionato all’Università di Milano le analisi del nostro Dna? O lo hai fatto solo per beccarti i finanziamenti e per un po’ di pubblicità?

Viticoltore. Senti chicco, abbassa la cresta. Ma chi ti credi di essere? Pensi davvero che io abbia bisogno di te per farmi pubblicità? A voi non vi conosce nessuno!

Vitigno. Le solite storie: non ci conosce nessuno, manca la letteratura critica, l’ampelografia non è una scienza esatta … Intanto però la biologia molecolare ci ha rivelato i caratteri genetici, e sulla nostra identità non ci sono più dubbi: io sono il Tostolello, e nei filari qui accanto c’è anche Raviso Nero, Ferrante, Uaccione, Magnaguerra …

Viticoltore. Magnaguerra? (ridendo) … che razza di nomi! E che futuro vuoi che abbia un vino che si chiama Magnaguerra? … oppure va inteso come nome di battaglia? Allora è questo che fate? (sarcastico) … la guerra dei vitigni in cerca d’autore?

Vitigno. Tranquillo, nessuna guerra. Siamo combattivi, sì, ma ci siamo armati solo di una nuova consapevolezza, abbiamo deciso di prendere in mano il nostro destino, di valorizzare la nostra vocazione. Insomma: di “considerare la nostra semenza”!

Viticoltore. Quale semenza?

Vitigno. (rassegnato) Lascia perdere, citavo Dante … ma vedo che non è roba per villani!

Viticoltore. Che faccia tosta! Sarà per questo che ti chiami Tostolello?

Vitigno. Spiritoso. Non ti fermare all’apparenza dei nomi, le risorse di noi autoctoni vanno ben oltre. Magari avremo inflessioni vernacolari, è vero: non quella neutralità che tranquillizza gli esperti del marketing, né quel corredo di polifenoli che fa ringalluzzire gli enologi. Ma in compenso possiamo contare su una qualità che oggi è merce rara: siamo originali!

Viticoltore. Già, originali … perché tu credi ancora che la gente vada cercando vini originali? Pensi sul serio che queste favole sulla biodiversità che girano nei blog e nelle guide poi qualcuno se le beva per davvero?

Vitigno. No, ti prego: risparmiaci almeno la lezioncina di disincanto.

Viticoltore. (contando con le dita) … colore … frutto … legno! Ecco cosa si cerca in un vino, altro che storie. Chi beve ha gusti facili, caro mio, niente a che vedere con le elucubrazioni dei critici enologici. Il consumatore consapevole non fa testo, è una minoranza inoffensiva. Chi si avvicina al vino cerca le conferme di una piacevolezza immediata: se ne frega dell’omologazione del gusto, vuole essere rassicurato!

Vitigno. Ancora con queste fandonie del gusto facile e rassicurante … ma se lo sai benissimo che la gente non ne può più di questi vini morbidi e piacioni, dal tatto levigato e dai tannini dolci … si assomigliano tutti, non li vuole più nessuno! È finita l’epoca dell’esuberanza fruttata e della ricchezza alcolica, le nuove parole d’ordine del gusto sono: tensione gustativa, freschezza acida e sapidità. Servono vini da bere a tavola: dinamici, reattivi, verticali!

Viticoltore. Ah, ecco … (beffardo) perciò voi sareste verticali …

Vitigno. Noi siamo originali, te lo ripeto: non necessariamente migliori, però senz’altro diversi da quei vini che trovi ormai dappertutto, in Spagna e in Australia, in Sudafrica e in Cile, magari a prezzi due volte più convenienti. Noi abbiamo un rapporto speciale con un luogo, un preciso radicamento territoriale …

Viticoltore. Eccola la parolina magica: territorio! Mi stavo proprio chiedendo quando l’avresti pronunciata …

Vitigno. Dovresti averla più a cuore anche tu, questa parola. Invece di accanirti su vini confezionati in cantina con aggiustamenti di acidità, dosaggi di tannini, selezioni di lieviti …

Viticoltore. Ma sì, bravo … torniamo a pigiare l’uva con i piedi!

Vitigno. Non fraintendermi: diffido quanto te di certe derive arcaistiche, impregnate di ideologia se non di esoterismo e superstizione. Però non puoi negare che oggi si vada facendo strada anche in chi beve vino un’insopprimibile esigenza di naturalezza. Non c’è più tanto spazio per i vini finti e artificiosi, e se continuerai a ostinarti nella ricerca di quelle concentrazioni forzate che ti suggerisce il tuo ispirato consulente, finirai per ritrovarti anche tu con il vino invenduto, e intere annate parcheggiate cantina.

Viticoltore. (fa le corna) Tiè!

Vitigno. C’è poco da fare: senza una consapevolezza stilistica e interpretativa del proprio mandato territoriale, senza saper assecondare la vocazione del proprio vigneto, oggi un produttore è tagliato fuori. Tu continua pure a fare vini larghi e surmaturi, tutti chiacchiere e distintivo, iper-colorati e vuoti di personalità. Ma senza di noi.

Viticoltore. Perciò scioperate?

Vitigno. Sì, siamo in sciopero. Poi tra qualche anno, quando la tua azienda fallirà, torna a trovarmi che ti devo dire una cosa …

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