
di Raffaella Guidi Federzoni
Joanne Beamon non è solo una mia cara amica e una grande professionista, è anche una persona umana generosa, intelligente e sensibile; il suo essere nordamericana si esprime in una dirittura morale senza compromessi, in una freschezza di giudizio priva delle tipiche contorsioni mentali di noi mediterranei. Insieme a lei ho lavorato tante volte per oltre dieci anni, battendo le strade della California, presentando vini innumerevoli volte, passando dal caldo afoso dell’esterno al freddo glaciale di ristoranti climatizzati. Spesso abbiamo riso, qualche volta anche pianto. Sono felice di averla conosciuta perché mi ha insegnato molto e ritengo che sia una perfetta interlocutrice per cercare di capire meglio l’attuale posizione del vino italiano negli Stati Uniti.
Prima di dare spazio all’intervista, che ho tradotto senza modificarla, vorrei evidenziare che il mercato negli USA è complicato dalla struttura federale – ogni stato ha leggi particolari per la distribuzione e vendita degli alcolici – e anche da quello che si chiama 3 tier system, cioè una normativa che separa l’importazione dalla distribuzione e questa dalla vendita al dettaglio. Anche per questo motivo avere dei partner commerciali validi e smaliziati è vitale.
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Mi puoi raccontare il tuo background professionale, la tua posizione attuale e l’area in cui ti muovi negli Stati Uniti?
Lavoro da trent’anni nel mondo del vino e negli ultimi quattordici con la stessa ditta dove dirigo un folto gruppo di persone, coprendo diversi mercati chiave. Supervisiono sia la divisione dei Fine Wines che quella del Luxury*. La mia posizione riguarda la California e più di recente anche l’area del Nord Ovest Pacifico; quindi, sono del tutto coinvolta con quello che succede nella Costa Ovest. Ho sempre avuto un grande interesse per il mondo dei vini di qualità e la mia carriera si è costruita consolidando relazioni ed espandendo la presenza sul mercato delle migliori aziende europee, soprattutto francesi e italiane.
Sulla base della tua esperienza ritieni che essere una donna sia stato d’ostacolo nella tua carriera?
Certamente ci sono stati momenti nella mia carriera in cui ho dovuto lavorare più duro per farmi sentire o essere presa sul serio, specialmente all’inizio. Però ho anche constatato che autenticità, conoscenza approfondita del prodotto e un consistente bagaglio di risultati può eliminare un bel po’ di quella fuffa. Sono stata fortunata per aver lavorato con buoni mentori, sia uomini che donne, ed essere in un’organizzazione dove i vertici sono sempre più consapevoli del valore apportato da diverse prospettive. Però, come tante donne, lungo la strada ho dovuto difendere me stessa e anche altre.
So che sei specialista di vini italiani e francesi, trovi una differenza di stile e approccio fra i due?
I vini francesi spesso dominano per struttura, precisione e senso del territorio che è profondamente radicato nella loro identità. D’altro canto i vini italiani trasmettono più emozioni, c’è un aspetto narrativo che si mostra in modi differenti. La diversità italiana è stupefacente; si va dall’Alto Adige alla Sicilia, con varietà, clima e concezione vitivinicola completamente diverse. I francesi tendono più a una codificazione, gli italiani sono più espressivi, a volte caotici, ma in modo bello.
Secondo la tua esperienza la percezione dei vini italiani è cambiata negli Stati Uniti negli ultimi anni?
C’è stata una vera evoluzione. A lungo, “Italiano” significava Chianti, Pinot Grigio e forse Barolo se avevi fortuna. Ora, giovani sommeliers e compratori cercano varietà e produttori autoctoni con un focus su luogo e autenticità. C’è più curiosità riguardo a regioni come l’Etna, Friuli o persino Lambrusco nella sua espressione più seria. I consumatori sono diventati più avventurosi e questo ha dato la possibilità di un appiglio a produttori più piccoli interessati alla qualità.
Ritieni che ci sia una differenza sostanziale fra la generazione boomer e I millennials nella loro scelta di vini?
Sì ed è più che una differenza di gusto. I Boomers sono stati tradizionalmente fedeli a un marchio, concentrati sulla fama di etichette e sui classici. I Millennials tendono a dare la priorità a novità, trasparenza e sostenibilità. Sono meno impressionati dai punteggi o dal prestigio vecchia scuola, sono più interessati a come un vino si adegua ai loro valori o racconta una storia intrigante. Questo spostamento è una sfida per il mercato a pensare differentemente riguardo a come comunicare e connettersi con I consumatori.
Pensi sia più difficile piazzare vini italiani nel canale horeca o in quello della distribuzione?
Sono tutti e due una sfida. Nell’horeca c’è una forte competizione relativa ai piazzamenti per vino al bicchiere e i vini italiani spesso necessitano un rapporto diretto e personalizzato perché non sono sempre “ovvi” per il consumatore. Ma, quando riesci a collegare un vino a un piatto o a una storia, questo può prosperare. Nella distribuzione i prezzi e il posizionamento diventano cruciali, soprattutto col mercato all’ingrosso che è ancora in fase di recupero. La chiave è di stabilire la giusta collaborazione con l’importatore e il relativo adeguamento con il distributore in modo da far funzionare entrambi I canali.
Come stai vivendo la situazione attuale con la minaccia dei dazi e l’insicurezza della classe media americana?
Sicuramente si tratta di uno scenario impegnativo. I dazi e la pressione economica hanno reso più difficile vendere vini europei alti di gamma, particolarmente al consumatore medio che si sente stretto. Detto ciò, vedo anche questo come una spinta a diventare più agili. I marchi che sapranno adattarsi, offrendo valore sicuro, identità chiara e un’espressione emozionale, saranno quelli in grado di uscirne. Abbiamo già sopportato periodi difficili, c’è solo bisogno di creatività e grinta.
Pensi che sia possible prevedere il futuro del vino negli Sati Uniti, anche approssimativamente?
Sì, fino a un certo punto. Sappiamo che certe tendenze – come sostenibilità, trasparenza e premiumization**- son qui per restare. Quello che è difficile da prevedere è come fattori economici globali modelleranno il comportamento del consumatore nei prossimi 5-10 anni. Però una costante è che la gente cercherà sempre esperienze significative e il vino le può dare come pochi altri prodotti. Quindi ritengo che il futuro appartenga a vini che sono autentici, ben fatti e appartenenti a una storia o uno stile di vita più ampi.
Hai consigli per chi voglia lavorare nel business del vino?
Comincia a lavorare. Impara le tipologie dei vini, assaggia più che puoi e costruisciti relazioni. Umiltà e curiosità vanno lontano in questo campo. Asseconda le opportunità, anche se all’inizio non ti sembrano prestigiose; fa tutto parte della costruzione della tua carriera. E infine, trova dei mentori – persone che ti aiuteranno e ti metteranno alla prova. Questo lavoro è basato sulle persone quanto lo è sul vino, e I rapporti che costruirai all’inizio formeranno il tuo percorso.
*Categorie spesso differenziate nella struttura organizzativa di importatori e/o distributori.
**Strategia di marketing che punta a vendere I prodotti di fascia alta e altissima.

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