Valligiani

di Raffaella Guidi Federzoni

“Bio Bluff” che vuol dire?

Andiamo per ordine, per benino per evitare qualsiasi malinteso. Tutto è cominciato per me con un invito graditissimo da parte di due amici con i quali c’è ben di più che il solo coinvolgimento nel mondo del vino. Una giornata di incontri e degustazioni all’interno di un borgo toscano, tirato a lucido da decenni senza strafare; il genere di ambientazione che fa sbavare gli americani e anche tanti turisti facoltosi e wannabe del globo. L’argomento – se così si può dire – era la denominazione Valdarno di Sopra che copre una zona molto bella, verde, boschiva e scostata dagli itinerari turistici classici; la Toscana ha solo l’otto e mezzo circa di superfici pianeggianti, il resto è in gran parte collina e fra le colline si piazzano le valli. Si può immaginare quante valli siano ancora da scoprire.

La Valdarno è una di queste, incassata fra la provincia di Arezzo e quella di Firenze, vicino in termini di chilometri dalle città, lontano in termini di atmosfera.

Appunto si tratta di atmosfera la prima sensazione da recepire recandosi in loco, si avverte a tratti un aspetto guerriero e quasi gotico grazie a dirupi e borri. Mai cupo però, la gentilezza di prati, oliveti e vigne spezza il paesaggio. Tutto ciò è molto toscano e nello stesso tempo è discosto dal cliché della toscanità intesa come sfondi rinascimentali, ormai patrimonio di un immaginario collettivo.

Idem per il vino che lì viene prodotto, i vitigni sono numerosi e gli stili diversi, alcuni centrati, altri ancora in cerca di una messa a fuoco. Viene prodotto Sangiovese con ottimi risultati, non confondibile con produzioni chiantigiane o montalcinesi, qui i vini sono più diretti, seppure eleganti hanno una spigolosità a tratti ruvida. Ci sono presenze importanti di vitigni francesi, distanti come espressività dalle ricette bolgheresi, il mare è lontano, la struttura olfattiva è più forastica e meno salina. Ci sono vitigni esistenti solo qui, oppure tornati alla vita dopo l’oblio. C’è infine una testimonianza eccellente di come il Trebbiano possa esprimere una qualità e un’identità eccelse. Una ventina di produttori, alcuni presenti da tempo e conosciuti come singoli e non come facenti parte di una zona precisa – non voglio scrivere “territorio”, no, no -. Altri più recenti e non ancora noti alle masse.

Tutto quanto scritto sopra è estremamente personale, limitato a un’esperienza diretta di un solo giorno e mi serve come cornice al motivo principale per cui scrivo quello che sto scrivendo che consiste nell’evidenziare un’avanguardia produttiva, un laboratorio molto vario entro confini ristretti. Soprattutto un tentativo coraggioso di fare un salto di qualità a livello di denominazione compatta.

La richiesta di diventare ufficialmente la prima DOC italiana interamente Bio.

Il convegno era appunto incentrato su questo. La partecipazione è stata lusinghiera, molti gli interventi da parte di Wine Star(s), reali o presunte. Qualche collegamento si è svolto a singhiozzo a causa di una connessione imperfetta; questo non ha impedito all’Enologo Sommo di concedere la sua benedizione al progetto dal sedile della sua automobile, dalla classe adeguata al proprietario. L’Ideologo Principe ha invece parlato dal suo studio, con alle spalle una libreria idonea. In generale tutti i relatori hanno mantenuto un approccio sobrio e hanno rispettato i tempi designati, fuori pioveva a dirotto e gli astanti cominciavano ad avere fame e sete, entrambe saziate abbondantemente poco più tardi. L’intervento più atteso è stato quello della politica, cioè di chi alla fine era necessario per ottenere la modifica della denominazione. Questa modifica era stata inizialmente negata, adducendo come scusa la rigidità dell’Unione Europea. Quando tale motivo è stato sputtanato grazie ai cugini spagnoli della denominazione Cava De Guarda Superior – la cui quantità di bottiglie è molto più grande di quella prodotta in tutta la Valdarno – i consorziati ci hanno riprovato. A tutt’oggi i responsabili del Ministero nicchiano, fornendo una giustificazione patetica “Non si può obbligare un produttore a diventare Bio per entrare nella denominazione.” Ho sintetizzato e tradotto dal politichese spinto parlato dalla tipa molto gentile e sorridente in collegamento da Roma, la quale ha speso molte più parole, ma il senso era quello.
Ah no?
Mi chiedo come mai tanti altri produttori di altre denominazioni siano obbligati ad anni di attesa per immettere il vino sul mercato, a un minimo di dodici, ventiquattro o più mesi di affinamento in rovere e non altri legni. O a imbottigliare in un tipo di bottiglia e non come pare a loro, a piantare non oltre una certa altitudine, o a irrigare quando le piante boccheggiano e non prima, insomma a rispettare tutto quel reticolato di regole e regolette che formano l’impalcatura del sistema produttivo enoico italiano ed europeo.
Se quegli obblighi sono imprescindibili, perché no quello di operare un’agricoltura biologica, cosa che peraltro già tutti i produttori della denominazione fanno?

Staremo a vedere, mi auguro che la cocciutaggine dei consorziati riesca a sforare il muro gommoso e conformista delle persone incaricate di decidere.

Quel che al momento colpisce è come un gruppo tutto sommato risicato, in una zona considerata “minore”, sia riuscito a radunare partecipanti e astanti così numerosi e così qualificati. Merito di un’organizzazione impeccabile, snella, moderna e intelligente. Merito anche della qualità indiscutibile dei vini più conosciuti e di quelli ancora meno noti. Anche nei vini ancora insicuri e un poco sgrammaticati si nota una spontaneità particolare e accattivante.

Perché dunque mi è rimasta in testa la definizione “Bio Bluff”? Si tratta della mia natura sospettosa e decisamente conservatrice riguardo a mode e tendenze. Negli anni ho conosciuto produzioni per me bugiarde nei loro proclami inneggianti alla purezza, al rispetto dell’ambiente, alla cura nell’evitare contaminazioni. Roba da denuncia, se ci fossero prove fisiche e non solo sospetti olfattivi e gustativi. Per questo sono tutt’ora scettica, ma il presente deve tenere conto di come va affrontato il futuro e il cammino obbligatorio è delineato da una mappa etica che non va ignorata. Non lo penso solo io, anche una buona fetta di consumatori che tanto ingenui non sono.

La DOC Valdarno di Sopra è l’opposto del Bio Bluff, merita attenzione e soprattutto una risposta concreta e coraggiosa.

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