
di Faro Izbaziri
Dieci anni fa circa, nel luglio del 2014, scrivevo:
Nella mia esperienza niente è più lontano dal vero e dal giusto (o forse meglio dal piacere) dell’esercizio maniacale di chi analizza i più infinitesimi dettagli di un piatto e di un vino: “la compattezza della fibra del merluzzo armeno – ben diversa da quella del merluzzo afgano, naturalmente – a questo grado di salagione intercetta la sapidità delicata del Sylvaner da vecchie vigne; purtroppo il calore dell’annata 2009 e la relativa spinta alcolica frenano un po’ la fusione con il finale di bocca della neve di baccalà: per fortuna la leggera polvere di bacche Sechuan contribuisce a innalzare il livello di precisione dell’abbinamento, fornendo l’opportuna vena speziata”, e simili.
Sono rituali ossessivi che vedono l’albero, o meglio la corteccia dell’albero, ma non vedono il bosco. E il bosco degli abbinamenti è un bosco luminoso, estivo, accogliente, dove ci si può divertire a ogni passo. Non una selva dantesca in cui ci si perde per eccesso di ansia analitica.
Concordo con l’Izbariri del 2014. Per me nell’accostamento vino/sostanze edibili non soltanto non esistono dogmi assoluti, ma forse nemmeno regole di orientamento generale, e fors’anche nemmeno regolette spicciole, di piccolo cabotaggio. Ciò che un tempo mi appariva un mosaico ordinato, con tutte le tessere al loro posto, oggi mi sembra la scatola di un puzzle appena comprata e aperta, con i pezzi rovesciati sul tavolo.
Non dipenderà dal mondo fattuale circostante ma più verosimilmente da una mia evoluzione/involuzione personale. Con l’età le papille gustative diventano pigre (diventano papill, e poi pap, fino a sparire), i riflessi sensoriali si appannano, l’acume percettivo si spegne.
Recentemente ho:
– preferito un bianco nemmeno tanto “strutturato” su una costata di manzo
– bevuto con più soddisfazione un Cerasuolo Torre dei Beati con una millefoglie di lamponi rispetto a un qualche vino dolce del caso
– apprezzato un Saint-Émilion giovane – e tannico – su una pasta e fagioli
– sgargarozzato un Filari Corti (Moscato) di Carussin con una sole meunière (sogliola alla mugniaia)
– eccetera
Nota bene post scriptum disclaimer
Questa ammissione di confusione mental/sensoriale non ha nulla a che vedere con una svalutazione delle consorterie internazionali di sommelier, il cui lavoro nella grande maggioranza dei casi è commendevole e di grande utilità.
