Mikhail Tal, esplosione di luce

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di Fabio Rizzari

Appassionati di scacchi, Maestri, Grandi Maestri giocano per vincere, o per godere di una guerra simulata. Solo pochissimi hanno portato gli scacchi a un’altezza superiore, dove il risultato conta meno o non conta nulla rispetto alla bellezza delle combinazioni. Mikhail Tal, da Riga, è il primo dei pochissimi. Oggi, 9 novembre 2016, ricorrono ottant’anni dalla sua nascita.

Percorso come i profeti da una corrente luminosa che rendeva la sua visione accecante, faceva apparire deboli e balbettanti le menti più profonde dei suoi avversari. Vedere ciò che vede Misha “trascende la nostra abilità”, avrebbero dovuto ammettere, con gli spiriti del Manfred di Byron, i Grandi Maestri che hanno attraversato il suo cammino.

Perfino il genio psicotico di Bobby Fisher, quintessenza della profondità di analisi, dell’intuizione sublime, della forza felina e inarginabile dell’attacco, ha riconosciuto – tra le righe e con toni venati di ammirazione stizzita – che Tal era capace di muoversi a quote alle quali addirittura a lui mancava l’aria.

A Tal mancavano alcune dita della mano destra, che per questo somigliava alla chela di un granchio, o all’arto di un extraterrestre. Soffriva gravemente ai reni. La debolezza della sua costituzione è stata decisiva nel frenarne la carriera: chi pensa che negli scacchi conti esclusivamente la forza mentale non sa che ai massimi livelli si tratta invece di uno scontro brutalmente fisico, quasi una lotta greco-romana.
Su questo Tal esercitava un sano senso dell’autoironia, per esempio commentando, dopo una bella partita: “oggi il cadavere ha giocato bene”.

Fumatore e bevitore accanito (pure consultando diverse biografie non trovo però traccia delle sue bevande alcoliche preferite…), affrontava i tornei senza alcuna preparazione atletica. Avesse avuto un corpo sano e vigoroso, sarebbe stato virtualmente invincibile per decenni. L’arida statistica registra che “il mago di Riga” rimane comunque a tutt’oggi il giocatore imbattuto per il periodo di tempo più lungo: 93 partite consecutive senza sconfitte.

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Ma questo, in fondo, non conta. Vincere o perdere, dico. Senza che questa attitudine fosse colorata di ipocrisia, Tal era davvero concentrato in primo luogo sulle vertiginose possibilità combinatorie che vedeva sulla scacchiera. Il gioco di posizione, la lentezza strategica delle scelte, il soppesare la situazione freddamente, come fanno oggi i computer e i motori scacchistici, lo annoiavano.

La sua sua visione squarciava il grigiore di una partita incanalata nei binari della teoria classica ed entrava con velocità incendiaria in un vortice di fuochi pirotecnici capaci di stordire il più tetragono degli opponenti. In questo una delle sue armi preferite era il sacrificio, espediente tattico che consiste nel farsi catturare premeditatamente uno o più pezzi, anche importanti, pur di raggiungere una posizione più favorevole o vincente.

Famosi e temutissimi erano i suoi sacrifici di Regina: con i quali spesso raggiungeva uno scopo che diveniva evidente all’avversario solo quattro, cinque, sei mosse dopo. In certi casi Tal eseguiva un sacrificio non per ottenere un vantaggio tattico e nemmeno per entrare in una situazione strategicamente migliore. Lo decideva per godere della bellezza sfuggente del risultato immediato: una configurazione provvisoria, sorprendente per una frazione del tempo dato, come il disegno momentaneo della sabbia in un angolo di spiaggia, o di una serie di dune in un territorio desertico, o di un cielo nuvoloso.

La sua visione non aveva però niente di estetizzante, di esornativo. Era visione asciutta, affilata, efficace. Era improvvisazione, non aridità di calcolo; imprevedibilità, non (soltanto) solidità degli schemi; libertà espressiva, non soggezione al risultato. Non a caso, alla domanda di Isaak Linder “Cos’è per lei l’estetica degli scacchi?”, Tal risponde senza enfasi: “Per me negli scacchi la bellezza della logica deve cedere a quella del paradosso”. Infatti “il razionalista sceglierà sulla scacchiera la strada più solida, il combattente dall’animo romantico cercherà di seguire i propri sogni”.

Fiaccato dalla malattia, Tal se ne va nell’estate del 1992, a un’età relativamente giovane, 55 anni. Non senza prima aver regalato un altro segno della sua grandezza sconfiggendo alcune settimane prima, lasciato per poche ore l’ospedale, il giovane Kasparov – a tutt’oggi considerato da molti analisti il più grande scacchista mai vissuto – in un torneo a Mosca.

Per alcuni cronisti miopi la potenza di analisi dei computer attuali avrebbe ridimensionato la genialità di molte partite di Tal, dimostrandone i punti deboli. Ma si tratta di una contabilità da piccoli bottegai. Non è contestando un dato analitico sballato in un rosso di Jayer che se ne può sminuire la bellezza. Tal era altro, testimoniava altro. Tal diceva: “ogni singola partita è inimitabile e inestimabile come una poesia”.

2 Responses to “Mikhail Tal, esplosione di luce”

  1. Oggi solo Ivanchuk è capace di sprofondare di quando in quando negli abissi in cui si immergeva il grande Mikhail. Il resto è prosa.

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