Il Nebbiolo del futuro?

Barolo del futuro

di Rizzo Fabiari

Ora che le liste dei vini guideschi sono state pubblicate e la dirigenza espressica ci scioglie dal voto del silenzio, posso finalmente trascrivere che uno dei vini più buoni e originali bevuti quest’anno è senza dubbio il Nebbiolo Felice Na 2011 di Carussin. Non per questioni di snobismo ammiccante alla semplicità (tappo a corona, costo contenuto), ma per il sorprendente equilibrio tra maturità, immediatezza del frutto e profondità dei tannini.

Ammetto infatti di trovare molto impegnativa, spesso troppo impegnativa la bevuta di grandi Barolo e Barbaresco. Per intercettare i (rari) polemisti che transitano per i lidi alterati, produco subito la certificazione burocratica del caso: Barolo e Barbaresco sono i nostri rossi più straordinari. Sono vini unici, vanto della nostra tradizione, e sono al vertice della finezza, della complessità, insomma della qualità; e non soltanto nei confini patri, ma in tutto il globo terracqueo.

Dopo regolare attestazione di merito, ecco la parte critica. Barolo e Barbaresco sono meravigliosi residui ottocenteschi. Come i pranzi della buona borghesia torinese, che anche nei giorni feriali prevedevano magari otto o dieci portate diverse, è tutto oversize per i più timidi e deboli palati attuali: molto alcol, molti tannini, molta potenza, molta persistenza.

Questo Felice Na ha un frutto molto puro e “giovane”, ma non si limita a proporre una versione novelleggiante e banalotta di un grande rosso di Langa. Al contrario, è innervato da una corrente sapida e tannica del tutto paragonabile a quella di un Barbaresco, in un contesto gustativo però più confidenziale, più diretto. Insomma: più godibile e più bevibile.

Una strada interessantissima per il Nebbiolo del futuro.

8 Responses to “Il Nebbiolo del futuro?”

  1. Avatar di Stefano Cinelli Colombini

    Sbaglierò, ma molto alcol, molti tannini, molta potenza, molta persistenza e tutto oversize è la ricetta di Robert Parker, non di Cavour e Guerrazzi. Quelli bevevano francese, roba buona ma poco tinta.

  2. Avatar di Rizzo Fabiari

    Si tratta di intendersi sulle parole, caro Stefano: per descrivere i vini parkerizzati userei piuttosto termini quali sovraestrazione, morbidezza, rotondità, staticità.

    • Avatar di Stefano Cinelli Colombini

      Giustissimo, una rosa è una rosa, è una rosa ma ognuno gli da il significato che preferisce. In effetti la descrizione dei vini parkerizzanti che cito l’ho tratta dalla biografia del grand’uomo d’oltre oceano, è dà fede di ciò ch’egli pensa di se stesso.

      • Avatar di Fabio Rizzari

        Farei una distinzione, magari esile ma argomentabile, tra vini amati da Parker (soprattutto negli anni 80 e 90) e vini propriamente parkerizzati, vini cioè anabolizzati e spinti oltre il loro naturale limite da una serie di tecniche volte a irrobustirne la silhouette: i Bordeaux, grandi amori del Nostro, sono sempre stati, almeno nelle espressioni più note, vini potenti ed estrattivi (anche se in passato in effetti non alcolicissimi); mentre la parkerizzazione ha successivamente coinvolto tipologie – italiane, francesi, spagnole – che per tradizione non avevano per forza tanto alcol, tanti tannini, tanta morbidezza, tanta maturità di frutto.
        Il Barolo, restando al modello ottenuto da lunghe macerazioni, per quanto ne sappiamo è sempre stato potente, alcolico, tannico, insomma molto impegnativo da bere. Da qui il ragionamento astratto proposto nel testo.

  3. Avatar di Niccolò Desenzani (@ndesenzani)

    Scrissi qualcosa nello stesso spirito sul Felice 2010. “…rappresenta per me il nebbiolo che si fa vin de soif”. Finalmente Barbaresco e beva a braccetto.
    Niccolò

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