
Tra i mosti glou glou, i vinacci ultrapremiati, i vini sciropponi aromatizzati alla barrique, i vinelli ripassati sul cemento nudo e crudo gang-bang, rifritti nell’anfora di Scozia o sbollentati a macération carbonique nelle porcellane di Nuova Zelanda…
Molto meglio allora tornare a tracannare i vini senza etichette, senza più ambivalenti pressioni e compromissioni commerciali. I vini lontani dal marketing, anzi meglio, riformulo: lontano il marketing dal vino! Il vino sfuso insomma. “Il vino degl’amici” come direbbero Scipione e il Ghègo al Giglio.
Così almeno, fino a quando anche “il vino degli amici” non diventi anch’esso slogan à la page, etichetta di tendenza a sua volta da poter rivendere a scaffale; ma quando questo succederà noi si spera di stare a gozzovigliare già da tempo immemore altrove. All’Inferno più bieco che c’è si spera, nel girone degli “amici del vino senza altra aggiunta se non l’uva”.
La solforosa, i lieviti selezionati, i diserbanti, gl’intrugli farmacologici e i mille altri inghippi manipolatori di campagna o in cantina, son tutte altre faccende più tipiche da Purgatorio, robaccia perbenista da Paradiso con cui, ringraziando il Demonio, non potrò avere più nulla a che vedere… in saecula saeculorum. Amen.