Beppe Colla fotografato da suo fratello Tino nella vigna I Dardi – Bussia, dicembre 2018.
di Raffaella Guidi Federzoni
Il vecchio che cammina appoggiato ad un bastone è scontento di essere vecchio ma è contento di essere in vigna. Era seduto in poltrona, fermo nella sua solitaria malinconia, quando suo fratello gli ha detto “Dai, ti porto ai Dardi!”. Glielo ha detto in piemontese perché quello è il modo in cui si sono sempre parlati, due fratelli distanziati anagraficamente da quasi vent’anni ma avvicinati da una storia comune che ha molto a che fare con vigna e cantina. Più la prima della seconda, così mi piace immaginare.
Perché la vigna, beh, la vigna è l’anima e la pancia di entrambi.
Camminare in vigna non è mai facile, non è come calpestare scalzi un prato primaverile, ci vogliono piedi che sanno dove posizionarsi, dentro scarpe robuste.
Camminare in vigna da novembre a fine febbraio, quando tutto è nudo e il cielo si mostra eccessivo non ha che fare né con la prosa, né con la poesia, ma con l’uomo, anch’esso nudo mentre è alla fine di un ciclo ed aspetta che il prossimo inizi.
Beppe si muove a piccoli passi aiutandosi con il bastone, ci vede poco e fa fatica ma lì è più felice che altrove. Lì, a mezza costa fra due filari, avvertendo sul viso quel poco di sole tiepido e sentendo lo stato delle viti pronte per la potatura. Sentendo come si sentono anche ad occhi chiusi lo spazio e le piante conosciute da mezzo secolo.
L’uomo ha accanto il fratello che lo chiama e lo fotografa quasi a tradimento. Una foto che è un patrimonio, un mondo di affetti e conoscenze che i due hanno in comune.
Le storie che so di loro me le ha raccontate Tino nel corso degli anni, in quel momento particolare che dividiamo nel tardo autunno canadese. Insieme, lontani dall’Estate di San Martino italiana, immersi nel freddo nordamericano con i suoi giorni brevi e serate da passare attorno ad un tavolo pieno di bottiglie, le mie e le sue.
Ci siamo affiancati dietro a banchetti presi d’assalto dai nativi e Tino è sempre stato l’ultimo ad abbandonare la sua postazione, con gli inservienti innervositi dalla sua eccessiva permanenza fino all’ultima goccia da versare. Credo che si tratti di cocciutaggine piemontarda.
La stessa che ha portato la sua famiglia a rimettersi in piedi dopo diversi scossoni, attraversando più di cinquant’anni di vicende storiche legate al vino, alla sua produzione e al suo commercio. La storia di un piccolo punto sull’enomappa mondiale. Piccolo sì, ma molto significativo.
Il vino moderno di questi luoghi è nato principalmente da menti nobili, aristocratiche, si è poi sviluppato e continua ad esistere soprattutto grazie a quella razza superiore, affine alla terra e schiva nell’affermarlo che si chiama contadina. Famiglie contadine nate lì che hanno conosciuto la fame e la guerra, l’importanza delle bestie e dei raccolti, la consistenza dei pochi soldi da mettersi in saccoccia, il valore di un pezzo di vigna in quella parte di collina.
Non c’è nulla di stereotipato in quello che mi racconta il fratello minore, c’è un ragazzo che nel dopoguerra studia e lavora, ingegnandosi in vigna, in cantina e anche nel commercio. Ha delle intuizioni, le applica. Ha il senso del vino che lo sostiene anche se lo fa litigare. La famiglia è con lui, quando gli sfilano la proprietà da sotto il sedere, insieme ne creano un’altra.
Non è questo però che rende le mie scarse ore con Tino così particolari. La storia di Beppe Colla, o almeno parte di essa, è conosciuta grazie ad altri narratori importanti come Alessandro Masnaghetti. Le parole del mio amico sono a me particolarmente care per la passione austera e vivace che riflettono, per la volontà di trasmettere il passato finché è possibile, con riserbo e fierezza.
Esattamente le stesse caratteristiche che ritrovo nei suoi vini: austerità e riserbo iniziali, vivacità calibratissima, trasparenza, finezza, nerbo fiero. Il tutto giocato con equilibrio, senza mai strafare, quasi tirandosi indietro per poi riprendere lo slancio.
Poco dopo quella passeggiata di inizio dicembre Beppe si è spento quietamente. Ne hanno scritto giornali importanti, sono tornate sui social delle belle interviste effettuate anni fa. Ho abbracciato Tino da lontano, sperando di farlo presto alla prossima degustazione che condivideremo. Questo mio scritto è un pensiero commosso verso due fratelli così normali, così speciali.
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