di Fabio Rizzari
L’altra sera concerto dell’esimio maestro Maurizio Pollini, oramai settantenne, all’Auditorium di Roma. Ho scelto con saggezza di arrivare tre quarti d’ora prima, margine che nei fatti si è rivelato appena sufficiente per raggiungere il posto assegnato: un numero imprecisato ma notevole di rampe di scale prima di arrivare alla galleria 4D e al sedile 12 della fila 7. Tempo di percorrenza dal piano terra, circa 35 minuti.
Una volta seduto sono stato dotato dagli inservienti, a causa dell’elevata altezza sul livello del mare, di un binocolo militare ad alta risoluzione e di una bombola d’ossigeno. Il grande maestro, che come milioni di persone stimo in maniera incondizionata, non è purtroppo più quello di una volta. La ricerca della bellezza del suono non è mai stata il suo forte, ma la pronuncia delle frasi musicali di certo sì. Ebbene, ahinoi, la pronuncia si è un po’ impastata, anche se qua e là si avvertiva il nitore di un tempo. La scelta, ormai più che decennale, di asciugare il suono, di privarlo di ogni ridondanza ritenuta superflua, perviene oggi a sonorità ossute, scarnificate. Il che può andare benissimo per buona parte del repertorio novecentesco; ma va meno bene per Chopin e molto meno bene per Liszt: uso del pedale degno del governo Monti, emotività trattenuta, poche libertà agogiche. Insomma, come dice il mio amico Riccardo: ok, ma almeno un fuocherello…
Detestando cordialmente Liszt avevo quasi deciso di andarmene alla fine del primo tempo. Non l’ho fatto. Errore grave. Due episodi me ne hanno dato conferma. Il primo: in un pianissimo squilla come da copione un cellulare, ma purtroppo squilla a una persona seduta accanto a me. Tale individuo riesce in una frazione di secondo: a) a disattivare il telefonino; b) a fingere stupore e indignazione, guardando in altra direzione. Come conseguenza, la dozzina di persone che si volta schifata guarda schifata me. Il secondo e conclusivo episodio: esco e devo constatare che mi hanno fregato il motorino. Mi sono fatto due palle dodecaedriche con Liszt e non è nemmeno bastato.