Un gallo nel pollaio mediatico

pennuti

di Raffaella Guidi Federzoni

Ci deve essere un posto da qualche parte, in qualche città italiana. Un ufficio dalle pareti bianche e le poltrone nere. Un luogo abitato da giovani rampanti e masterizzati, nel senso che un qualsiasi master risulta dai loro curricula.

Giovani che non si curano della luce proveniente dai finestroni del palazzo, ma sono chini e frementi sul grande tavolo centrale dove giace l’oggetto della loro eccitazione. Un progetto promozionale a cui stanno lavorando con alacrità creativa. Si tratta di comunicare un’iniziativa di un certo organismo che rappresenta una certa quantità di persone che vivono in un certo luogo e producono più o meno tutti la stessa merce.

Il Consorzio del Chianti Classico si è adoperato per il restauro e la rivalutazione del Convento di Santa Maria al Prato a Radda in Chianti che “torna a vivere nella poliedrica veste di “casa del Gallo Nero, presidio del gusto e accademia del vino.

Sarà un luogo che ospiterà eventi, corsi di cucina, degustazioni e mostre d’arte. Un impegno molto importante, al centro di un luogo fondamentale per capire il vino italiano, la sua storia, la sua cultura.

Tutto questo è molto bello. Merita una comunicazione adeguata che faccia il giro del mondo proclamando “Ehi! Noi siamo qui da secoli, abbiamo un patrimonio di paesaggi, pietre, vigne, cantine che non altrove non c’è. Abbiamo persone che hanno deciso di continuare a percorrere questa strada difficile e tortuosa come le stradine in salita dei nostri villaggi. Abbiamo vini che si distinguono per eleganza, classe, finezza e longevità. Non abbiamo solo passato, ma anche futuro nel quale vogliamo essere presenti da protagonisti”.

“Abbiamo tutto questo e vogliamo che tu lo venga a vedere. Per questo abbiamo creato The House of Chianti, un luogo di accoglienza per tutti i visitatori curiosi, interessati, appassionati alla nostra specifica realtà. Non un posto muffito e polveroso, ma vibrante di novità intelligenti e mirate.

Ebbene, i nostri giovani leoni dopo lungo ponderare, dopo notti insonni passate a spremersi le meningi su come far passare un messaggio così importante, cosa scodellano? Quale uovo di Colombo viene fatto accomodare sul piatto d’argento del marketing comunicativo? Quale immagine viene scelta per significare tutta la pappardella di cui sopra? Quali parole penetranti vengono messe a corredo?

Forti del principio che quel che fa vendere sempre di più è quel che solletica le parti basse, provocando un ribaltamento ormonale, i nostri piazzano la foto di un pregevole paio di nude gambe femminili. Per sdrammatizzare e creare un seppur vago collegamento al simbolo del Chianti Classico sulla destra appare una penna di gallo destinata a solleticare i deliziosi piedini della sconosciuta modella. Per rimarcare, nel caso non si capisse, il testo recita “Lasciati sedurre dal Gallo Nero”.

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Seduzione e solletico.

Tutto questo è ridicolo.

In un certo senso, così il messaggio passa. Ma non come vorremmo. O forse, dovrei dire, non come vorrei io. Io e tanti altri che ci sbattiamo in giro per il mondo per cercare di far capire che noi italiani siamo seri, non solo assatanati sessuomani ancora legati allo spirito di patata (sic!) dei venditori di spazzole di una volta. Siamo seri e spiritosi sì, nonostante una bruttissima televisione che ancora sculetta ed ancheggia per farsi guardare. Sappiamo essere divertenti e leggeri senza volgarità. Amiamo le donne e le rispettiamo, diamo loro spazio ed ascoltiamo quello che hanno da dire. Abbiamo un senso estetico sviluppato dalla comunanza con il Bello, in natura e nell’arte. Qualcosa che abbiamo respirato fin da piccoli.

Abbiamo un nostro senso dell’umorismo. Per il senso del ridicolo ci stiamo ancora applicando, ogni tanto facciamo uno scivolone, come in questo caso.

Speriamo che ciò non si ripeta. Speriamo che le prossime campagne promozionali per l’immagine di un vino e di un territorio come quello del Chianti Classico venga deciso qualcosa di moderno sì, ma non risibile.

Per rafforzare quanto scritto e per concludere il mio amaro grido di dolore per un’occasione sprecata, riporto testualmente il commento a caldo del mio decennale coinquilino affettivo, angloide di nascita, cittadino del mondo e residente da queste parti per più di trent’anni. Gli ho mostrato l’immagine, ha letto il testo e poi si è così pronunciato:

“Once upon a time I was your little rooster
But am I just one of your cocks”

(Rolling Stones – Rough Justice – A Bigger Bang)

18 Responses to “Un gallo nel pollaio mediatico”

  1. Oggi si crede che vale solo ciò che rompe gli schemi, e questo spiega le due gambe con piuma. Magari funziona. Io coltivo ancora l’idea che quando si può conviene scegliere di battersi nel campo in cui si è più forti, e quanto a storia, bellezza di territorio e fascino il Chianti Classico è il massimo. Mentre sul terreno del modaiolo, del kitsch e del nuovo ce ne sono tanti molto più forti. Ma io sono un dinosauro, per cui probabilmente ho torto.

  2. perché aspettarsi un commento positivo da una persona che produce vino per la principale denominazione concorrente?!

    Who knows?!

    Il fatto che il Brunello non faccia niente di tutto ciò rende tutto più facile, vero?! Non c’è niente da criticare!

    Il moralismo va fatto nei luoghi deputati, il resto sono chiacchere!

    • Caro amico, quanto è confuso un simile commento. Fa acqua da tutte le parti.

      “Perché aspettarsi un commento positivo da una persona che produce vino per la principale denominazione concorrente?” E in una vicenda così imbarazzante, dove dovrebbe trovare aspetti positivi da commentare chiunque, concorrente o meno?

      “Il fatto che il Brunello non faccia niente di tutto ciò rende tutto più facile, vero?!”: certo che rende tutto più facile in una circostanza simile.
      È incontrovertibile.

      “Non c’è niente da criticare”: c’è molto da criticare, invece.

      La perla finale: “Il moralismo va fatto nei luoghi deputati”: che cosa vorrebbe significare?

  3. Anche io, caro Francesco, lavoro per la denominazione “concorrente”, che proprio concorrente non è, bensì sorella e complementare. Mi sembra che ci sia un malinteso voluto da parte sua. Qui non si tratta di moralismo, ma di senso estetico, buon senso e senso del ridicolo.

  4. Invece le 5 stelle date ogni anno dal consorzio del brunello all’annata che deve uscire…quello il senso del ridicolo non lo suscita a nessuno…vaia vaia vaia, che blog irritante e’ questo.

    • Questo sì che è un commento ridicolo e irritante al tempo stesso. Che c’entra una normale iniziativa autopromozionale, discutibile quanto ti pare, con una caduta di stile indegna della gloriosa storia del Chianti? E che c’entra offendere, mettendo sullo stesso piano due faccende molto diverse?

      E infine, qui vieni a sfruculiare, Braganti? Ci vuole proprio la tua faccia tosta. Ti rinfresco la memoria. L’azienda Monteraponi è per quasi tutti un’illustre sconosciuta finché la nostra guida non ne mette in rilievo i vini, premiandoli in diverse annate e facendoli conoscere a molto pubblico e molti colleghi. Da allora, e solo da allora – carta canta – inizia la “fama” dei vini targati Monteraponi. Dopodiché, ferito nell’orgoglio del Grande Produttore per un giudizio appena meno encomiastico, pensi bene di non farci assaggiare i tuoi eccellentissimi vini. Perché “voi non li capite”. “Ma mi facci il piacere”, diceva Totò. O se preferisci Leopardi: “non so se il riso o la pietà prevale”.
      Circola alla larga, vai.

  5. No, basterebbe un po’ di rispetto. Di tutti i difetti, l’ingratitudine è uno dei più squallidi. Per rimanere a Leopardi, direi che in questo caso prevale la pietà. Largamente.

  6. Caro Michele, il tuo commento non c’azzecca un bel nulla con quello che ho scritto nel post. Ma se vuoi irritarti fai pure. Staccati una bella piuma dal tuo abbondante corredo di gallo e solleticati i piedoni.
    Poi stappa una bottiglia delle tue, che quello aiuta a far tornare il buonumore.
    Così ti passa tutto e puoi leggere con serenità parole per niente offensive riguardo al Chianti Classico, solo scritte in difesa del buon senso oltre che del senso del ridicolo. Come ho già reiterato.

  7. La mia famiglia ha terre e vigne in Chianti da mille anni, per cui trovo un po’ strano che qualcuno possa ritenermi uno straniero concorrente che parla per far del male. E si, le stelle all’annata di Brunello appena prodotta sono una cavolata galattica. Non c’é nulla di male nel dirlo, come non c’è nulla di male nel discutere due gambe e una penna. O Freunde, nicht diese Töne!

  8. Qui c’è da cappottarsi dalle risate.

  9. Anch’io penso che il Braganti non abbia capito lo spirito del post. Mi sento però di fare un appunto all’eccellentissimo Rizzari: la gratitudine è perfino peggio dell’ingratitudine, soprattutto quando è la speranza di nuovi favori, cioè quasi sempre. Quindi meglio guardarsi dai grati che dagli ingrati.

    • Hai ragione, Fabio, riferendosi in generale alle esperienze di vita (“chi fa del bene deve essere preparato alla normale ingratitudine”, secondo una nota sentenza: ha a che fare con l’aggressività che genera – nei meno consapevoli – il fatto di sentirsi in debito).
      Ma qui rimanevo del tutto in ambito professionale, e la gratitudine cui facevo riferimento è esclusivamente professionale: ti ho lanciato, ho valorizzato i tuoi vini, mi aspetto che tu, per gratitudine, mi faccia assaggiare le nuove annate anche se ti urta non essere stato premiato (perché di questo si tratta, dato che non abbiamo mai pubblicato critiche severe a tali vini).
      Insomma: nessuna petizione di deferenza o debito al di fuori del rigoroso ambito professionale.

      • Ecco, si. Sapevo che intendevi quello, ma pensavo che fosse meglio specificarlo a modino, come hai fatto testé.

  10. Nun me impiccio mai de quello che scrive DuCognomi, ma stavorta nun me posso esime’ da penza’ che er Convento de cui sopra, se nun funziona come House of Chianti, po’ veni’ utile pe’ sfida’ all’alba quarche marrano come quello che se chiama Francesco o er Braganti.che nun c’hanno capito na mazza de quello che er post voleva significare.

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