The morning after the night before

di Shameless

brillo“Tutto bene?” chiese la mia amica, seduta a sinistra sul muretto.
“Sì tutto bene.” risposi. Poi mi girai a destra e vomitai.
Avevo diciassette anni e quella era la mia seconda sbronza.
La prima l’avevo presa l’anno precedente, d’estate, sulla spiaggia. Una sorta di rito iniziatico.
A quei tempi prima, molto prima, ci si sbronzava e dopo, molto dopo, si perdeva la verginità. Oggi non so.

Da allora, ed è un allora molto distante, le volte che ho bevuto tanto da star male posso ancora contarle usando solo le dita delle mie mani. Questo per dire che ci sono stata attenta, che non mi è mai piaciuto bere per dimenticare.
Infatti, mi ricordo tutto di quei momenti.

Mi ricordo di mani pietose che mi reggevano la testa, mi ricordo di chi mi ha portato a casa senza approfittarne. Mi ricordo di come una volta sono strisciata al piano di sopra, arrampicandomi su ben otto scalini appoggiata sui gomiti tipo commando. Mi ricordo delle parolacce che ho biascicato rispondendo a chi mi prendeva in giro.

Mi ricordo, soprattutto, di come mi sono sentita la mattina del giorno dopo. Un chiodo arrugginito piantato nel mezzo della fronte. La debolezza, il disgusto per ogni tipo di cibo, una leggera vertigine, nessuna voglia di parlare e poca di esistere.
Proprio qui voglio arrivare nella mia dissertazione di inizio estate.
Vale davvero la pena?

Non è la prima volta che ne scrivo. Non è per moralismo che sostengo l’inutilità dell’ ubriachezza. Si tratta di edonismo.
Il piacere del bere è molto diverso dalla dipendenza da alcol.
Quel che ancora mi disturba è una certa mentalità allegroide che considera positivamente l’amico ubriaco di turno. Lo zio che straparla alle feste. La ragazza che, poverina, si fa mettere le mani dappertutto tanto è già più di là che di qua.

C’è una cultura strisciante e diffusa sostenuta anche da pregevoli opere cinematografiche in cui una bella sbronza risolve tutto, fa trovare l’amore, fa vivere avventure meravigliose, tira fuori il meglio dalle persone.

In realtà una bella sbronza è bella solo quando finisce senza conseguenze.
Una sbronza è bella quando chi se la piglia non si mette in macchina e manda a puttane la sua vita e quella di altri.

Una sbronza è bella quando il protagonista non è un poveraccio angosciato dai suoi fantasmi esistenziali e per rifarsi massacra di botte qualche soggetto femminile che gli vive accanto.
Una sbronza è bella quando capita ogni tanto, cominciando in allegria e finendo senza lacrime.
Una sbronza è bella quando a provocarla è del vino come si deve, non mescolato con schifezze o superalcolici dozzinali.

Questo è più difficile. Nella mia modesta esperienza non sono mai stata male dopo aver bevuto del vino di qualità.
Anzi no, mi correggo.

Più di vent’anni fa fui invitata da un paio di enotecari tedeschi ad una due giorni vinosa, organizzata dalle mie parti, presso un’azienda che aveva anche un ristorante.
Il primo giorno ci fu una degustazione di quindici Brunello di Montalcino, credo che si trattasse dell’annata 1986. Fin qui tutto bene, tornai a casa allegra a cenai di buon appetito, probabilmente bevendo un altro paio di bicchieri.

Il secondo giorno gli alemanni ci propinarono una selezione di quindici vini germanici, bianchi e rossi. Per noi locali una totale rivelazione, recepita con una certa perplessità. Ora saprei apprezzarli sicuramente di più, allora mi sembrarono un concentrato di acidità, limone e ruggine.
Finita la maratona degustativa, commisi l’errore di fermarmi a pranzo insieme ad un paio di produttori. Una bottiglia di Vernaccia di San Gimignano ed una di un Supertuscan. Ho il sospetto che ci fu anche un bicchierino di Vinsanto come ciliegina sulla torta.

Per arrivare a casa bastavano un paio di chilometri in discesa con una buona dozzina di curve. Non so come riuscii ad arrivare a casa, mi ricordo però del secchio pietosamente deposto accanto al mio giaciglio da un compagno affettuoso e divertito.

Altri tempi, altri stomaci, altri vini.

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