Giornalista sarà lei, casomai giornalaio

di Raffaella Guidi Federzoni

Il titolo di questo post è una manipolazione di una vecchia barzelletta, non adatta al pubblico accademico di questa arena alterata. Mi serve comunque per introdurre un argomento che rimugino da un po’ di tempo e che vorrei condividere con quella mezza dozzina di lettori fedeli che mi seguono.
Cominciamo dal termine “Giornalista”, un appellativo che oggigiorno per il cittadino medio italiano può suonare come un’offesa. Per me no, il giornalista è una persona che sa scrivere e comunicare, principalmente due cose: informazione e opinione. Lo fa per professione, quindi è pagato per questo.

La precisazione è importante, perché con l’avvento di ciò che racchiudo nella parola “blog”, si è creata molta confusione. Tutti possono mettere insieme un blog parlando di quel che pare a loro, spesso creandosi un piccolo o grande seguito di lettori. Ma c’è una bella differenza fra chi lo fa tutti i giorni, con alle spalle una preparazione professionale e l’esperienza di anni e chi invece s’improvvisa perché ne ha voglia. Quest’ultimo, non essendo pagato, ha meno responsabilità e spesso se ne approfitta per scrivere le sue opinioni, estremamente opinabili.

Adesso alla parola “Giornalista” aggiungiamo “Enoico”, per significare chi scrive relativamente al mondo del vino. Un tempo si diceva “se uno non sa fare il giornalista diventa giornalista sportivo, se non riesce neanche in questo si trasforma in giornalista eno-gastronomico”*. Tralasciando questa vox populi, d’ora in avanti, per semplificare, chiameremo il nostro eroe GENO.

(sto andando come un treno, alla fine vi svelo perché)**

Ora, come mai mi interesso tanto del GENO, io che campo sulla vendita e divulgazione del vino?
Prima di proseguire, vorrei precisare che, a differenza del giornalista che si occupa di politica, cronaca, cultura e tutto quello che fa spettacolo, il GENO è spesso non pagato per il suo lavoro, oppure pagato troppo poco per potersi permettere viaggi, degustazioni, approfondimenti relativi alla sua passione. Questo aspetto è estremamente importante. La passione riguardo al mondo del vino è elemento fondamentale per l’autenticità di un GENO. Fondamentale, ma non sufficiente.

Oltre alla passione ci vuole preparazione, coerenza e coscienza etica. Quello che il GENO scrive deve rispondere al vero e non semplicemente a quello che egli pensa anche in buona fede, ma limitato alla sua esperienza personale, alle amicizie e simpatie. Non è detto che un GENO che lavora gratis non sia attendibile, molte volte lo è. Addirittura può esserlo di più di chi scrivendo di vino si è comprato casa e tiene famiglia da mantenere. Non voglio però addentrarmi nel campo periglioso e spesso sbandierato della penna venduta a quella o quell’altra cantina.

Quello che più mi interessa è capire che cosa noi fruitori dell’opera del GENO vogliamo da lui.
Vogliamo informazione riguardo a quello che succede nel mondo del vino, con notizie fondate e provate? Vogliamo opinioni motivate riguardo a territori, vitigni, produttori, vini, vendemmie?
Perché leggiamo di preferenza quello che scrive un GENO piuttosto di un altro? Perché corrisponde ai nostri gusti o perché anche se non è così ci fidiamo della sua conoscenza e professionalità?
Vogliamo che stia sempre sulle barricate e tenga desta l’attenzione su quanto di sbagliato si sta facendo o si farà per il futuro del vino italiano?

Lo vogliamo arrabbiato e provocatore o esauriente ed appagato dalle sue degustazioni?
Vogliamo leggere parole che ci fanno venire voglia di saltare in macchina ed andare a visitare un luogo od una cantina di cui conoscevamo poco? Oppure righe polemiche e motivate relative a scorrettezze e pastrocchi?

Ho l’impressione che vogliamo tutto di quanto sopra e lo vogliamo concentrato in una sola persona, una sola pubblicazione, un solo blog. Inconsapevolmente, ma pervicacemente, molti di noi esigono più che un GENO un GERO (giornalista eroico). Se non corrisponde ai nostri parametri lo accusiamo di non essere un Giornalista ma un Giornalaio, cioé uno che vuole solo vendere comunque sia.

Non è così, bisogna distinguere due figure professionali diverse, anche se complementari.
Se compriamo una guida dei vini, ci serve per essere informati ed aggiornati riguardo alle produzioni recenti. Dobbiamo avere fiducia che chi l’ha curata sia stato onesto nei giudizi e completo nelle informazioni. Ma lo stesso deve lasciare a casa sua delle opinioni troppo personali. Oppure relegarle ad un blog come questo.

Se invece vogliamo che qualcuno ci tenga svegli sul modo di fare politica in campo vinoso ci rivolgiamo a chi scrive su quotidiani di informazione – in forma cartacea o nella rete – e che si assume le sue responsabilità riguardo all’attendibilità dei fatti. Anche in questo caso mettendo da parte delle opinioni troppo personali e di parte.

Mi rendo conto che l’argomento presenti aspetti molto variegati e sfumati. Quanto scritto non è certo verità assoluta, ma l’ho fatto spinta dal desiderio di sapere cosa ne pensino altri che spesso leggono, brontolano e non commentano.
Ad amare il vino siamo in tanti, ad amare chi se ne occupa molti meno.

*Affermazione sbagliata, uno dei migliori e più completi giornalisti italiani ha entrambi i requisiti, giornalista sportivo ed enoico. E’ talmente bravo e serio da sembrare inventato, invece esiste veramente, per nostra fortuna.

**Ho scritto il pezzo tutto d’un fiato, dopo settimane di gestazione. La colpa è di una serata proprio “longe alius” e di un bicchiere di un mescolone bianco made in Oregon, USA.

21 commenti to “Giornalista sarà lei, casomai giornalaio”

  1. Chi fa una guida ai vini esprime opinioni personali tanto quanto chi scrive in un blog o altrove ma lo fa sistematizzando il tutto. Non solleva istanze singole ma fa “politica” anche lui. Premiare un vino piuttosto che l’altro, privilegiare un approccio produttivo piuttosto che l’altro cosa è, altrimenti? Compro una guida per scegliere un vino o capire meglio un produttore, leggo una rivista o un blog magari per approfondire aspetti che non entrano in una guida, tipo il tema “Giornalista sarà lei, magari giornalaio”. Sebbene alcune guide, nell’introduzione, si riferiscano anche a questo.

    Tutti (giornalisti, blogger e giornalai), a prescindere, dovrebbero esprimere un punto di vista per quelli che sono i mezzi culturali ed economici a disposizione.
    Cosa vuol dire mettere da parte le opinioni personali? E’ un falso, dicono i saggi. L’oggettività non esiste, esiste l’intersoggettività: tanti individui che convengono su qualcosa ritenendolo vero; per loro.

    Comunque per XX euro a post so scrivere anche post o commenti più intelligenti ;-).

  2. non sono per niente d’accordo. Chi fa una guida con la stessa impostazione di un blog non fa una guida e non fa un servizio al lettore, fa il suo diario di degustazione. La soggettività non è eliminabile ma ci sono modi per stemperarla. Ad esempio non lavorare da soli ma in gruppo e sforzarsi di mettersi nei panni del consumatore, per lo meno del consumatore ipotetico lettore di quel prodotto,anzichè nei propri. Da blogger posso non parlare di un produttore perchè mi è antipatico e parlare di un vino meglio di quanto merita perchè il produttore mi è simpatico: non è scorretto, fa parte della mia idea di qualità (in ogni caso lo fanno tutti). se faccio una guida non posso. Ci sono obblighi verso chi legge che sono diversi. Che poi vengano rispettati è un altro discorso. Ma la scrittura non è indipendente dal mezzo.

  3. orchite al cubo: io il vino lo vendo e trovo somari in ogni categoria di proclamatori del vino. Finchè non sei pagato per scrivere puoi dire tutte le minchiate del mondo. Quando sei pagato per scrivere puoi scrivere tutte le minchiate del mondo percependo uno stipendio… non bastano poche rondinelle alterate per far primavera

  4. che vi devo dire, per me il giornalista e’ la controparte, io sono oggetto delle sue attenzioni in quanto produttore, non lo critico per le sue opinioni o per quello che scrive dei miei vini perche’ non sarebbe appropriato criticare il critico. Non sopporto pero’ le invasioni di campo, ovvero il critico enoico che diventa critico enologico e mette bocca nel processo invece che nel prodotto.

    • Infatti questo per noi è un punto d’onore. Abbiamo detto e ridetto ai collaboratori della nostra guida, abbiamo scritto e riscritto nelle varie sedi: guai a dire o peggio a scrivere come deve essere fatto un vino. Il nostro lavoro è commentare il prodotto finito. Quand’anche si potesse dare un parere fondato (e come sappiamo se la stragrande maggioranza dei giornalisti si avventura nel terreno insidioso del “come” ne esce con affermazioni banali, o lunari, o comiche tout court), non è deontologicamente opportuno.

      Volevo pescare un vecchio testo in proposito ma non lo trovo; ho trovato invece questo frammento, da un post espressico di qualche anno fa:

      Citando liberamente il grande Michele Foresta, alias Mago Forest, quando abbiamo aperto questo blog ci siamo prefissi due obiettivi. Il primo, di usare la parola prefissi, e questo finalmente l’abbiamo centrato. Il secondo, di non entrare nell’ambito intricatissimo della produzione del vino, con le sue mille temibili implicazioni e sottoimplicazioni, ma di “limitarci” a valutare e commentare il prodotto finito.

      • Fabio (oops… scusa: Rizzo!), come detto credo anche io che chi equivoca il senso di valutare un vino e si fa prendere la mano finendo per mettere il grembiulino ai produttori e mandarli a scuola a rifare le aste abbia travalicato il ruolo di critico del vino.

        Tuttavia è necessario distinguere fra chi spiega al produttore come avrebbe dovuto fare il suo vino e come potrà migliorarlo in futuro, e chi invece si limita ad indicare ai consumatori come è stato fatto il vino, riportandone gli esiti nel bicchiere.

        Faccio un esempio concreto. Se uno scrive una nota di degustazione di un Montepulciano d’Abruzzo, che certe note di cioccolato e caffè e certo tannino ruspante ce l’ha per via delle caratteristiche tipiche del vitigno, ma in quel particolare vino risulta evidente che invece esse dipendono da un certo uso del legno, il buon critico dovrà necessariamente far riferimento al legno.

        Altrimenti certamente non avrà rischiato di invadere la sfera di pertinenza del produttore, ma avrà sicuramente offerto un servizio scadente al lettore della guida, che si troverà una nota ambigua e non saprà bene se aprendo una bottiglia di quel vino si troverà nel bicchiere un vino magari un po’ grezzo ma potentemente varietale, oppure un vino magari tecnicamente sofisticatissimo ma pesantemente legnoso.

        Il ruolo esplicativo del riferimento ai vari fattori produttivi, il vitigno e la zona tanto quanto le tecniche e tecnologie usate nella produzione, sono l’unica maniera in cui non solo l’enologo ed il produttore, non solo il buon giornalista, ma anche e soprattutto gli appassionati ovvero i consumatori riescono a comprendere meglio che cosa piace in un certo vino, e che cosa piace di meno in un altro. La particolarità commerciale del vino sta nel suo contenuto culturale, e la sua base è la conoscenza dei fatti, come in ogni cultura.

        Altrimenti si costruisce una sorta di narrazione fantastica ed affabulatoria, in cui non conta trasmettere il vero senso delle cose, ma solo avere un bel sorriso e una bella parlantina, un look curato e la capacità di proiettare sogni pescati comodamente dall’immaginario collettivo, fiutando con attenzione da che parte tira il vento.

      • Su questo abbiamo svolto una riflessione credo non banale con il Gentili e gli altri colleghi della squadra, a cominciare dal filosafo Gravina. Capisco le osservazioni, ma noi ci orientiamo diversamente. Nella grande maggioranza delle schede e dei testi (con alcune eccezioni: non amiamo i bianchi e i neri assoluti) preferiamo risultare più generici anziché offrire deduzioni potenzialmente “invasive” nel campo della produzione.

        Nell’esempio che riporti, non scriveremmo per esempio “note di caffè derivate da una cattiva gestione del legno”, ma “note di caffè e di tostatura in eccesso” o “fuori registro” o “vino boisé” o “vino troppo legnoso” o simili. Il risultato per il lettore mi pare non così alterato (nonostante io lo scriva in questo sito).

      • Ma no, certo, non c’è bisogno di qualificare e giudicare anche le pratiche enologiche e le scelte di cantina, ci mancherebbe. Si giudica il vino, non il produttore, e già è tanto.

        La cosa importante è che si continui a rendere possibile una lettura sostanziale del carattere del vino, che non ci si fermi ad uno sterile elenco di descrittori e di opinioni personali sulla sua gradevolezza, che si continui a raccontare come il vino nasce, cresce e viene condotto ad essere quello che è. A spiegare perché giunge ad avere un volto anziché un altro.

        Se chi assaggia sente la classica nota di whisky e crema all’uovo, l’importante è che non si limiti a parlare di richiami al Baileys, magari rimanendo sul vago circa il valore qualitativo di un simile quadro olfattivo, ma che si riferisca, con il grado di precisione ed approfondimento tecnico che ritiene opportuni, al fatto che con certi legni nel vino finiscono troppi whisky-lattoni, che se si chiamano così un motivo c’è… :-)

      • Comunque sentire parlare di una linea editoriale ragionata e condivisa, che si degna di affrontare anche gli aspetti ideali della professione, anziché rimanere sul vago per ritagliarsi utili spazi di manovra o affidare tutto all’arbitrio del correttore di bozze dell’ultimo secondo… come dire, per il resto c’è mastercard.

        Se mi è permesso, senza giri di parole, mi pare chiaro che questo sia uno dei presupposti alla base della qualità della Guida, e con questo mi pare ulteriormente dimostrato quanto sia utile parlare delle specifiche produttive, e non solo dei risultati…

  5. Gianpaolo, questo è un punto centrale che mi ha sempre portato ad un interrogativo: come fa un critico enoico ad essere almeno decentemente plausibile, senza avere sufficienti basi enologiche? Non potrà in alcun modo, mi pare chiaro. E come potrà fare bene il suo mestiere di comunicatore, se non provvederà a diffondere presso il pubblico un’appropriata ma corretta semplificazione del rapporto fra caratteristiche del vino e tecniche di produzione? Non potrà in alcun modo, mi pare nuovamente chiaro.

    Non dovrà forse dire il buon recensore di guida che un certo vino non gli piace per certe note troppo insistite di cioccolato, caffé tostato e vaniglia, e che queste note dipendono dall’impiego di un certo tipo di legni? Io credo di sì.

    Certo non dovrà trasformare la sua valutazione del vino in una pretesa di indirizzo della produzione futura della medesima cantina, come fa invece dichiaratamente Luca Maroni, che però siccome si fa pagare per dirlo viene rispettato dai produttori (quelli che ci cascano…) come fosse un santone indiano. La qual cosa si ripete pari pari anche con quegli altri critici che fanno ugualmente consulenze alle cantine, ma la cosa non rimane scritta da nessuna parte.

    In sostanza il confine esiste ed è importantissimo, ma è fatto di stile, non di sostanza.

    Io la vedo così.

  6. Forse dipende anche da cosa si vuol comunicare. Se fa una scheda tecnica ha la responsabilità di essere il più onesto possibile, e questo vale sia per un giornalista che per un blogger non stipendiato. Se è un giornalista, perché lo pagano per essere obiettivo, se lo fa per hobby, barare non avrebbe alcun senso.

  7. Se io mi affido ad un professionista, medico, avvocato, commercialista, è perché mi aspetto che mi fornisca un servizio specifico approfondito che io non sono in grado di adempiere. Il lavoro di giornalista dovrebbe essere in grado di fare lo stesso, ma la professione è sputtanata e il campo del vino non fa eccezioni.
    Cosicché la visione di questo lavoro da parte di molti produttori è negativa, Piuttosto che affidare i propri vini ad un panel di degustatori di qualsiasi guida, ci sono viticoltori che girano le spalle e rifiutano il confronto. Contemporaneamente sono numerosi appassionati consumatori che si sono disamorati dell’informazione convenzionale e preferiscono affidarsi agli ultimi venuti più consoni come linguaggio al loro modo d’intendere.
    Questo è amaro ma reale. Meglio affidarsi all’immediatezza di un blog anche se tratta la degustazione e il giudizio in maniera parziale e limitata.
    Il futuro farà una scrematura di tanto dilettantismo, però nel presente assistiamo ad una polverizzazione dell’informazione con conseguenze dannose per il mondo del vino in generale.
    A soffrirne sono soprattutto quei giornalisti che hanno fatto della propria etica e correttezza un punto di forza e si trovano cornuti e mazziati. Non abbastanza smaliziati ed esperti del nuovo modo di comunicare e nemmeno abbastanza cinici per fregarsene e coltivare solo la propria immagine.

  8. Prima il cazzeggio.
    Tema di mia figlia a seconda elementare: “Che lavoro fa il tuo papà?” Lei scrisse “Babbo va a giro per l’Italia con gli amici a bere vino!” E’ sempre di mia figlia la definizione “Giornaliere” che apprezzo moltissimo perchè comprende anche un tot di fatica fisica, modello spalloni che portavano in Svizzera una balla piena al giorno. Serio: torno alla mia vecchia definizione e divisione tra giornalista e degustista. Non faccio classifiche solo credo facciano due lavori diversi.

  9. le categorie secondo me sono ormai superate da un continuum. Restano i valori, che non sono affatto invece anacronistici ma sono l’unica vera bussola per orientarsi. Chissenefrega se uno c’ha il tesserino o non ce l’ha, se di mestiere si fa chiamare in un modo o nell’altro; chi e’ bravo emerge, e chi non lo è no.

    • Diciamo che chi è bravo lo riconosci, e chi non lo è pure.

      Quanto ad emergere, uno su cento ce la fa.

      Di quelli bravi.

      Di quelli meno, oggi in Italia purtroppo molti di più, e non è loffia retorica decadente.

  10. Molto interessanti tutti i commenti fino ad ora. Ma non vorrei che la questione si limitasse alla correttezza delle opinioni e/o informazioni di una Guida o di un’analisi degustativa. Carlo Macchi giustamente fa una distinzione: giornalista e degustista.
    Nello scrivere il pezzo mi interrogavo anche e soprattutto su ciò che il lettore smaliziato, seguace appassionato, o neofita, si aspetta da chi scrive di vino.
    Il fatto è che spesso si aspetta troppo e dalle fonti sbagliate
    – dal curatore di una guida si aspetta delle prese di posizione che nulla hanno a che fare con il lavoro di compilatore e degustatore professionista
    – dal blogghista dell’ultima ora si aspetta una conoscenza approfondita e pluriennale
    – dal redattore di una testata giornalistica non specializzata vuole solo indagini venate di polemica e provocazione

    e poiché spesso non si sente soddisfatto, gli viene spontaneo dare la colpa al giornalista e non a sè stesso e alla propria ingenuità.

    Questa è la mia impressione, un tantino alterata come da copione.

    • “lettore smaliziato, seguace appassionato, o neofita… ”

      Mi sento chiamato in causa. :-)
      Secondo me tutto dipende dal contesto. Quello che mi aspetto dal tale che si fa pagare per farsi leggere i propri servizi o per partecipare alle sue degustazioni guidate è diverso da quello che mi aspetto dal tale che si mette a scrivere su un blog le sue legittime opinioni come è diverso da quello che mi aspetto da quello che decide di commentare un blog/sito/forum esponendo per forza di cose le sue opinioni. Il problema è che molto spesso le diverse figure vengono mischiate tra loro, e questo è semplicemente assurdo. Io sono contro l’ordine dei giornalisti, e spero che un giorno questa piaga sociale venga debellata, ma rimane comunque un’enorme differenza tra chi mi chiede un contributo in denaro per leggere i suoi servizi e chi invece decide di esporre le proprie legittime idee sulla rete libera. Quando un giornalista ti chiede una somma di denaro per comperare la sua rivista, e dentro questa rivista trovi le stesse informazioni che avresti potuto conoscere tranquillamente facendo una ricerca su Google, beh, allora questo giornalista si merita tutti gli insulti del mondo. Quando un giornalista/degustatore ti fa una serata di degustazione a pagamento dalla quale esci avendo imparato circa lo 0,1% di cose nuove e il restante 99,9% è già saputo, beh, allora il tale si merita tutti gli insulti del mondo. Diverso è il caso di quei blogger palesemente improntati ad una comunicazione di basso livello, ma la cui informazione è gratuita per il lettore: in quel caso sarà la rete a premiare, e in misura indiretta i banner pubblicitari. Il vero problema però, e concludo, è che manca una cultura del vino e di conseguenza manca l’unanime riconoscimento nei confronti di chi vale e l’unanime condanna nei confronti di chi invece non vale una pippa. Il problema, come al solito nella storia degli uomini, è unicamente di cultura.

  11. Ecco una nuova forma di sottoproletariato sotto-pagato, sotto-stimato,sotto-valutato ecc.ecc. Sottopagato perché gli editori pagano poco e pochi. Il peso del dovere di informare e’ quasi tutto sulle spalle di questo nuovo gruppo sociale.( sai che novità!) Sotto stimato perché senza un editore o un pubblico che paghi per ciò che fai…..e sottovalutato perché come dici tu NN, il genio abita ovunque. Io da un giornalista Geno, a proposito perché Geno quando la maggior parte è solo eno? mi aspetto il racconto del vino ben scritto e coinvolgente, le indagini poliziesche non sono attese, ma se vengono le accetto. Se poi il giornalista è anche degustatore, e non mancano gli esempi,so che sarà competente, metodico ed affidabile. Le sue opinioni potranno anche divergere dalle mie, e vorrà dire che ne uscirò arricchito. Se costui sfrutta bene il potenziale che la nostra lingua offre, saprà descrivere il vino( e il cibo no?) e farmi salivare la bocca, magari anche solo per voltare meglio la pagina. Tutto ciò perché so che e’ un professionista e che prima della mia gratificazione dovrà fare i conti con il suo orgoglio professionale. A me basta. E ringrazio chi fa questo di lavoro, anche l’enotecario, il distributore, l’importatore e chi sta dietro al banco alle fiere portando in giro per il mondo la propria briciola. Come diceva mio nonno quando andava ” a trebb” più siamo e più ci divertiamo.

    • Grande intervento, grazie Giovanni. Magari c’è pure il rischio che ci conosciamo già?

      p.s. : nel mio modo di leggere gli scritti sul vino, prima uno è degustatore, e poi se gli va di cimentarsi anche con la difficile arte del racconto ambientale e contestualizzato del vino, tanto meglio. Per il resto non toglierei una virgola. Anzi, se consenti lo metto fra le perle degli indiani, su winetepee.

  12. Leggo solo adesso. L’argomento è annoso e sempre interessante. E mi lascia più domande che risposte in testa. Quindi è intelligente e ben centrato. Chi è in grado oggi di pagare per un’informazione seria, indipendente e capillare in Italia? Indipendente, quindi slegata dalle logiche commerciali delle aziende. Non scrivo di Tizio perchè mi paga, ma perchè mi convinve e (forse) c’è un lettore che potrebbe pagare per le mie informazioni/opinioni. Nel lungo periodo e con l’ampia penuria di lavoro che si sta profilando, la rete riuscirà ad essere ancora il parcheggio/mostra gratuito per penne/tastiere di più o meno grande valore, in attesa di migliore (e meglio remunerata) collocazione? Esiste una possibilità di incontro improntato al giusto riconoscimento tra l’esigenza di professionalità di chi si occupa di fare informazione/opinione e chi (i più) vuole essere informato su tutto spendendo il meno possibile (meglio se gratis)? Di primo acchito, mi verrebbe da rispondere NO, non esiste possibilità di conciliazione e alla lunga questo equillibrio si perderà, Lo spazio è grande ma riempirlo di cacofonia non è la miglior soluzione. Concedere questo spazio gratuitamenteda un lato e accettare di riempirlo gratis dall’altro… per quanto ancora sarà possibile fare i blogger così ed accettare pure critiche da ogni dove? Magari per una pacca sulla spalla, un rimborso spese e una cena pagata, quando va bene. Per quanto? Di che campa un blogger? Non è che alla fine ha ragione quello che diceva che i blogger sottraggono tempo ad un altro lavoro vero, ANCHE in orario di lavoro (“Non so perchè non frequento”)? O, pure peggio, tempo alla famiglia e alla propria vita privata, soltato per appagare il proprio ego, pur di comparire in rete con la propria voce?

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