L’altro giorno, mentre condividevo al telefono con un geniale produttore italiano l’idea che il futuro del vino sarà il merlot cinese che produrrà a breve, mi destreggiavo con un pallone da calcio nuovo di zecca, comprato appositamente per imporre a me stesso la partecipazione a questo europeo che, a detta di molti, risanerà la finanza italiana. Lo guardavo fisso sulle cuciture che separano gli spicchi esagonali neri da quelli bianchi e sono stato travolto da un ricordo d’infanzia: quando giocavo con gli amici per le strade del paese e, causa lanci sbagliati o tiri (miei) imprendibili, il pallone sfuggiva e prendeva velocità in discesa, le opzioni erano tre: perderlo per sempre, sperare che si fermasse sulla porta della cantina di un vecchietto che produceva vino genuino o scongiurare che finisse nei locali di un commerciante di sfuso fanatico della chimica.