La penultima corvée*

di Raffaella Guidi Federzoni e Snowe Villette

Lungo il cammino del mio percorso esistenziale mi fornisco di poche, concise, regole e riesco ad infrangerle con regolarità. Questo mi rende viva e giovane, non so se mi spiego, si tratta di sentirsi assai lontana dalla perfezione, cioè dalla fine.

Ad esempio, eccone un paio:
mai mangiare pollo di cui non conosco l’origine. Quindi, mai mangiare pollo al di fuori di casa mia.**

Evitare di bere vini tedeschi. Nella mia scarsa esperienza bevitoria di prodotti teutonici ho riscontrato un’antipatia reciproca fra essi e lo stomaco di mia proprietà, anche il palato se devo essere sincera.

Ebbene, sono riuscita nell’arduo compito di spezzare le mie convinzioni e convenzioni in una botta sola.
Era la mia ultima sera in terra nipponica. Finita la corvée lavorativa sono andata con il mio Virgilio locale in un ristorante Yakitori – che serve solo pollo, tutte le parti del pollo, nient’altro che pollo – e, dietro insistenza del suddetto Virgilio, ho ordinato una boccia di pinot nero teutonico***.

Ho scelto di sedermi ad un tavolo, non al bancone. Il locale era ben più ampio di tanti luoghi di ristoro in Tokyolandia, ma conservava la stessa atmosfera pulitissima, gradevole, gentile, aggraziata. Un’atmosfera che trovo solo lì, l’espressione di una scelta estetica nel cucinare e nel mangiare, gustando anche con gli occhi.

Ho mangiato benissimo: spiedini, polpettine, pezzettini, tutto il pollo minuto per minuto. Ho bevuto ancora meglio: un vino teso, tonico, per nulla astringente. Un vino da sciacquettarsi in bocca, dopo aver annusato rosa canina, un tocco di bacca rossa selvatica, qualche leggera nota balsamica. Un bel sorso pieno e soddisfacente.

Mi sono più che contentata. Al diavolo le regole dunque!

Di nuovo, alla fine di un viaggio che mi ha portato a Osaka, Kyoto, Yokohama, Tokyo, dopo aver mangiato di tutto, non solo ho avuto la conferma della meravigliosa diversità del Giappone rispetto al resto dell’Asia, ma anche quella che i pregiudizi non portano a nulla, peggiorano solo la vita.

Di questo paese ne ho già scritto in un pezzo precedente, che potete leggere qui. Da allora, niente è cambiato, si è solo amplificato il tutto.

L’ultima nota, proprio prima di imbarcarmi con la coatta ho mangiato del sushi per la prima volta durante questo viaggio. Un’altra regola infranta: “mai mangiare sushi in un aeroporto”. Regola disattesa felicemente perché il pesce era freschissimo, l’offerta generosa, la preparazione impeccabile ed il servizio veloce e rassicurante.

Mo arivo io, metteteve comodi.
Bene, Ducognomi e la sottoscritta se semo spippate er Giappone, mica solo pe’ magna’ eh! Amo visto templi e arberi che sembraveno disegniati cor pennello fino. Amo rappresentato l’Italia der vino e tutti a inchinasse e noi a inchinasse de più che alla fine l’amica mia ciaveva l’anca cionca messa male, ma poi, eroica, s’è fatta sette ore de volo senza lamentasse.

Tu me dici “ecchecevòle d’annà da Tokyo a Singapore? So’ vicine sulla mappa, anvedi!”
Anvedi tu, ce vòle come d’anna’ da Ostia a Reggio Calabria, la differenza se chiama Singapore Airlines. Pe’ chi vola colle pezze ar culo come noi, la classe economy de sta compagnia se magna a colazzione tutte quelle dee compagnie der monno occidentale.

A parte che le signorine che te servono peseno na media de tre etti, so’ vestite de quarcosa a fiori e sorridono sempre, no come le vecchie babbie de qua che se nun so’ verdi so’ amaranto e se chiedi quarcosa de éstra a momenti te menano.
Inzomma, semo arrivate a Singapore, er posto che appena scenni te fai la sauna fòri – autunno/inverno/primavera/estate – nun ce stanno staggioni, e poi entri e te se ghiaccia er reparto addetto ai processi digestivi/espulsori, ma la ggente nun ce fa caso e la strana sei te.

Singapore è no sputo, ‘na specie de alluce in fonno daa gamba malese che sta ar sud der sud est asiatico. Sta città è na republica de ggente mista de colore e religione, ce se troveno cinesi, indiani, malesi, sopravvissuti britannici. Tutti stretti ner posto colla più alta densità de umani pe’ metro quadro. Tutti che parlano benissimo l’angloide e quinni nun ce stanno problemi a capisse, come succede in Cina.
La densità de li quattrini puro è altissima, pe’ questo ce semo venute. La ggente coi soldi compra Brunello, questo è er mantra.

Singapore cor clima che cià nun invita a sta fòri più de tre minuti, ma in giro ce sta questo monno e quell’artro, se vai a Little India o a China Town c’è la ressa come pella Maggica. Bei posti, ce semo divertite, bastava entra’ ogni tanto e spararse ‘na cifra de freddo, e poi riusci’ fino ar prossimo negozio de robba etnica. Avemo magnato quarcosa che de preciso nun me ricordo, spezie speziate e condite co’ spezie. Ner mezzo ce stava l’agnello o er pesce. Bbòni tutti e due.

La prima sera però, er tipo che lì ce smista er vino cià voluto fa’ cosa gradita e cià portato a magna’ la pizza. Che vojia cià la ggente de penza’ che noi fòri de casa volemo magnasse la pizza!

Così ho infranto la regola mia, la nummero 1, quella che recita “Mai magna’ la pizza fuori dai confini nazzionali.” A differenza de quelle de DuCognomi, stavorta ciè annata male, anzi peggio. Inzomma, no schifo che però ce sèmo ingurgitate e zitte. Er tipo nativo cià puro sparso sopra der peperoncino perché sennò nun era cattiva abbastanza.
Pe’ completa’ aa tortura cià fatto beve un vino italico bello zeppo de frutto e legno, proprio quello che all’amica mia je fa’ veni’ l’orticaria.

A parte st’infortunio, tutto è annato per il verso giusto: due cene ner ristorante italiano intasato de ricconi locali, che se so’ magnati puro le posate e bevuto anche i fonni dei bicchieri.
DuCognomi ha volteggiato qui, là e in ogni dove. Amo venduto, amo invitato a venirci a trovare. Amo fatto tutto per benino. Tutti contenti, tutti esperti der vino nostro così nun ce sèmo dannate troppo a spiegallo.

Ce sèmo pure ritajate er tempo pe’ visita’ du musei. Veramente l’idea era de vedenne uno, ma DuCognomi alla prima botta s’è sbajata de posto e così n’avemo visti due. Mo’ so tutto daa storia singaporese e puro daa pittura a inchiostro che veramente è na bellezza, se te scordi daa pittura de casa nostra e te concentri sur tratto.

Peccato che pe’ torna’ ce vojono tredici ore de volo, ma colle signorine infiorate nun è poi nemmeno tanto male.

Mo se mettemo tranquille, l’amica mia e la sottoscritta.
Ce penzerà Shameless, aspettate bbòni.

*L’ultima corvée non esiste, perché c’è sempre la prossima.

**Ne sono escluse le alette di pollo speziate, cha appartengono ad un altro campionato.

***2008 Weingut Friedrich Becker B Spatburgunder Trocken, Pfalz.

 

 

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