di Raffaella Guidi Federzoni
Se non puoi essere felice
In questo luogo
Almeno sii gentile
Nessuno è più felice dopo il compimento del sesto anno d’età, a parte qualche santo o santone o guru o eremita o innamorato corrisposto per circa un paio d’ore. Vero è che in Bhutan stanno provando da anni a misurare il livello di felicità del paese (FIL) basandosi su parametri che non riguardano l’interiorità del singolo, ma la qualità della vita dei cittadini. Non è proprio lo stesso.
In Giappone non ho idea quale sia il livello di felicità, quello di gentilezza è altissimo. Dopo un anno intenso passato svolazzando ad Ovest, l’ultima parte del viaggio ad Est ha addolcito il mio animo esacerbato da troppe battaglie.
Sono arrivata a Tokyo dopo tre giorni massacranti a Hong Kong, inaugurati la prima sera dal vomito di un giovane passante a due metri dai miei piedi mentre ero in cerca di un ristorante tipico. Hong Kong è una continua iniezione di adrenalina, efficace per tracimare esperienze e sensazioni, ma dalla siringa un poco zozza. La città è splendida ed in continuo rinnovamento, popolata da formiche umane che comprano, vendono, consumano. La metropoli del presente e del futuro, in cui mi piace confondermi per non più di tre giorni e tre notti.
Il Giappone è altro.
L’isola conta una popolazione più che doppia della nostra, su di una superficie poco più vasta. Meno male che i giapponesi sono molto, ma molto, ma molto più beneducati e rispettosi degli italiani, altrimenti sarebbero sempre lì a pestarsi i piedi e a sgomitare per farsi spazio.
Finito l’inchino di ingresso, generico e superficiale, si capisce subito di essere giunti in un mondo in cui la cortesia non è solamente una vernice, ma una cultura ben radicata. Fa parte di un senso estetico della vita che può essere espresso nella cura di microgiardini zen o nella presentazione del cibo.
È vero, è vero, è vero, che i nipponici hanno una storia di crudeltà guerresche ben documentate. È vero, è vero, è vero, che i nipponici hanno una concezione del lavoro come asservimento totale all’azienda ed alle sue regole.
È vero, è vero, è vero, che la figura femminile nipponica ed il suo ruolo sono ancora ben lontani dalla libertà di scelta che le donne occidentali danno per scontata.
Però è anche vero che esiste un rispetto per gli anziani da noi dimenticato. Esiste una grazia nel muoversi e nel fare, incantevolmente espressa dalle risatine di fanciulle che sembrano bambole, o dalle mani di una donna dimessa che, seduta di fronte a me nella lobby, crea pazientemente un origami da un nulla di carta colorata.
Da queste parti nipponiche noi dobbiamo muoverci in punta di piedi, cercando di capire o almeno di accettare un modo di vivere e di intendere la vita del singolo molto diverso dal nostro. La loro cultura non è la nostra, nonostante avverta nelle nuove generazioni una tendenza ad uniformarsi al modello di vita occidentale, e non so quanto ciò mi piaccia.
Torniamo a noi, anzi, a me. In Giappone ci sono stata in tutto quattro volte, sempre per lavoro. Mi limito quindi a delle considerazioni superficiali che sono le seguenti:
- Il mercato giapponese relativamente al vino italiano in generale ed al Brunello in particolare è un mercato maturo ed esperto.
- Il mercato giapponese relativamente al vino ecc. ecc. è anche intasato di offerte. Tutti vogliono vendere qui, per forza, chi è che non ha voglia di venire a farsi una girata da queste parti, sentirsi trattato come un re e poter toccare con mano (o con chiappa) le mitiche tavolette gabinettose scaldate e con spruzzetto incorporato?
- Il mercato giapponese relativamente al ecc. ecc. è sostenuto alla grande da una ristorazione “italiana” vastissima. Solo a Tokyo ci sono circa cinquemila ristoranti italiani.
- Da nessuna altra parte del globo, esclusa l’Italia, si mangia così bene italiano.
- La maggior parte dei ristoranti a Tokyo e Osaka sono piccoli o piccolissimi. La causa principale è il costo elevato degli affitti. La conseguenza è che il menu è curatissimo ed ottimamente cucinato da un paio di persone al massimo.
- La maggior parte dei ristoranti italiani a Tokyo ha uno chef nipponico che ha fatto il suo stage in Italia ed ha assimilato benissimo l’essenza del cucinare italico.
- La maggior parte dei ristoranti italiani in Nipponia ha materie prime di ottima qualità e prezzi di alto, se non altissimo livello.
- Se però si vuole mangiare diverso, spendendo cifre da operaio nipponico, ci sono miriadi di luoghi, genericamente chiamati “Soba” dove per circa 6 euro ti procacci una zuppa di noodles come vuoi, un frittino delicatissimo – tempura per i cognoscenti – di verdure varie, e un paio di polpette di riso fritte sempre con estrema delicatezza, più tè verde quanto ti pare.
Per terminare cotanta dissertazione, rivelo di aver bevuto il mio primo vino giapponese in un ristorante d’impronta francese, ma con interesse anche per il vino italiano. Si tratta di:
GRIS DE KOSHU 2013
Prodotto dalla Cantina GRACE, la più famosa da queste parti, situata nella zona chiamata Katsunuma considerata attualmente la più vocata per i vini di qualità. Il vitigno Koshu è considerato autoctono, anche se originario del Caucaso, portato forse anche mille anni fa dai viaggiatori sulla Strada della Seta. Probabilmente vinificato per la prima volta secoli fa dal solito gesuita. Non è che sia così fondamentale saperne la storia completa, quello che conta per il mio palato è l’equilibrio, una buona sapidità allungata, gentile e mai violenta. Per intenderci, nessuna frustata acida, solo tanta freschezza insaporita da note leggermente carnose, più floreali che fruttate.
Di nuovo grazia, cortesia, gentilezza. E sostanza.
La foglia caduta per prima giace
Rossa e solitaria
Le compagne ancora lassù ridono ignare