Orgoglio senza pregiudizio

cartello stradale

di Raffaella Guidi Federzoni

Alla fine di aprile di venticinque anni fa ero al Greppo. Non erano giornate normali, l’eccezionalità consisteva nei preparativi per la celebrazione del Centenario del Brunello. Le quattro bottiglie conservate in un luogo ristretto e scarsamente illuminato della cantina portavano scritta sulle etichette la data 1888. Il vino chiamato Brunello era sicuramente nato molti anni prima, ma quelle bottiglie erano la testimonianza più antica, ancora viva e presente. Per questo si preparavano ad essere ricordate.

L’evento non avrebbe però coinvolto solo la proprietà della famiglia Biondi Santi. L’intera comunità di Montalcino si era attivata sotto la conduzione dell’allora sindaco. Non mi voglio soffermare sui dettagli di quel momento, a cui ho già accennato in un post precedente. Quel che mi interessa e che riporto con l’affetto e la nostalgia riservati a ciò che era e che forse non è più, era il sentire orgoglioso di un luogo, di una storia e di un passato, condensato in un vino. Il Brunello di Montalcino era un vino già conosciuto da un’élite di appassionati. Un mondo trasversale ed internazionale piuttosto nutrito, che presto sarebbe diventato molto più vasto, così come si sarebbe allungato l’elenco dei produttori e delle cantine.

Con un bel salto arrivo ai giorni nostri. In queste due decadi e mezzo è accaduto tanto e molto di ciò non è stato bello. Le notizie negative fanno presto a girare il mondo e marchiano la reputazione di un posto e di una denominazione. Gli aspetti positivi e particolari che rendono questo paese così unico e per me tanto amato vengono trascurati o al massimo dati per scontati.
Eppure fra i tanti motivi per cui io, sì, sono orgogliosa di scandire nelle due o tre lingue che conosco “abito a Montalcino e rappresento un’azienda produttrice di Brunello” non c’è solo il senso di appartenere ad una comunità anche litigiosa, ma viva e solidale quando serve. Non c’è solo la stupefazione quotidiana della bellezza di un paesaggio composito.

C’è la comprensione di cosa vuol dire un passato radicato profondamente come le radici delle vigne più vecchie, c’è la visione di un futuro nei figli e nipoti di agricoltori che a suo tempo riscattarono il podere dalla mezzadria e adesso lo hanno reso una gemma splendente fra vigne ed olivi. C’è la conoscenza di altri non Natives come me, persone curiose arrivate per caso, o per scelta, e poi rimaste, cittadini del mondo che hanno deciso di crescere i figli qui. Altri sono andati via, alcuni dopo aver sbagliato i loro calcoli speculativi, convinti erroneamente che il vino sia un’operazione economica di rapida risoluzione.

Tutto quanto scritto avrebbe meno senso se non avessi un paio di punti di riferimento. Due uomini maturi che rappresentano la continuità, orgogliosamente espressa nella conduzione delle loro proprietà, ricevute dalle generazioni precedenti. Due persone che mi onorano della loro amicizia. Per uno ho lavorato in passato e per l’altro continuo a farlo fieramente anche adesso. Jacopo Biondi Santi e Stefano Cinelli Colombini sono il volto del Brunello di Montalcino nobile, la cui nobiltà non è tanto derivata da un albero genealogico, piuttosto dalla volontà di rimanere qui e di tramandare il dono di un vino che non è solo liquido alcolico, ma soprattutto la testimonianza di una storia toscana, italiana, universale.

PS Rimando volentieri anche al bel post recentemente pubblicato da Franco Ziliani sul suo blog Vino al vino.

15 commenti to “Orgoglio senza pregiudizio”

  1. Cordiale Signora mi licenzi l’alterato “alterco”, ma avendo anch’io vissuto per quasi un lustro sul ciglio di quel paesaggio “unico-al-mondo” al leggerla mi rammarico e mi si ripresenta un rigurgito di disappunto: quanto racconta è, ahinoi, oggi barbaramente inquinato da azioni proporzionalmente contrarie… tra tutte non fosse altro che avete permesso e passivamente promosso l’insediamento della comunità romena al punto che gli asili mescolano in percentuale sempre crescente figli meticci; al punto che la vostra più rappresentativa enoteca del centro (ove debitamente si dovrebbero accogliere ospiti internazionali con accento ed enoici saperi inequivocabilmente ilcinesi) gode invece di collaboratori che ignorano radici, cultura ed ambiente in cui vivono e lavorano; e le vigne, queste amate, e la terra in cui dimorano, han dovuto imparare passi “diversi”, mani “diverse”, una lingua “diversa”… ah, i bei tempi andati. Abbia un buon tempo in quel paradiso perduto, cordialmente

    • In attesa della risposta di Raffaella censuro (in senso morale, non in senso pratico: gestico io i flussi del sito) il tono nemmeno troppo vagamente razzista del suo commento: ci sono rumeni, e allora? ci sono figli di italiani/e e rumeni/e, e allora? anche la scelta dell’aggettivo “meticci” è infelice.

  2. Caro Daniele,
    sono madre di due “meticci”, i quali mescolano le loro amicizie ilcinesi con altri meticci. Uno di loro è infatti romeno, un ragazzo in gambissima, figlio di una coppia che si spacca la schiena a lavorare in un’azienda. Come loro ne conosco tanti, persone con passaporto diverso da quello italiano, come mio marito. Persone che sono state accolte da tempo e alle quali è stata offerta la possibilità di lavorare dignitosamente. Nelle cantine e nelle famiglie da me nominate, da tempo lavorano – benissimo – persone che hanno radici altrove. Un luogo, un villaggio, una cittadina, rimangono vivi grazie al ricambio, alle mutazioni dovute anche a mescolanze “etniche”.
    Questo però non capisco cosa c’entri con il senso del mio scritto che è quello di spiegare cosa significhi continuare una tradizione, orgogliosa senza “pregiudizio”, rimanendo punto di riferimento per chi viene da fuori o “da fuori” ci osserva.

  3. Fa ridere e insieme piangere la lettura del termine “meticci” da un paese caraibico, storico serbatoio di schiavi.
    Daniele, lei è un fascista, non del tipo cosiddetto culturale, ché almeno si potrebbe tentare un ragionamento. Il suo è fascismo incolto, rigurgito di congeniti disappunti, fierezza della propria inciviltà, una deformazione che storicamente chiede bastone e segregazione.

    Grazie a Raffaella per avermi regalato una lettura godibilissima in un periodo forzatamente astemio

    • Beh, la proclamata “libertà” di questo giorno collide senza possibilità di compiuta replica contro una manifesta, imbarazzante, miopia.
      Quindi, da gnostico apolide, non posso che scusarmi sinceramente per la nuova ed ultima “intrusione” in questa accademia di amabili alterati, di certo più capaci a celebrar edonismo e chiuder porte che a porsi domande.
      Mi scuso per aver dato occasione ad Emanuele di dimostrare tanto spavaldamente che con le sinapsi occluse i pensieri si deformano, e si scrivono abomini che posson anche ferire.
      Mi scuso se, con le mie riflessioni, ho forse messo sale su insanabili ferite.
      Mi scuso anche, in ultimo, per non esser stato capace di offrire uno spunto “diverso”, rivolto a tutela di culture e tradizioni antiche (appunto!), rivolto a stimolare una forma-pensiero che parta dalle radici (quelle dei “fari” che cita, per esempio) e che così formandosi permetta di preservare, tutelare, mantenere, e divulgare cultura e conoscenza, prima e dopo la benvenuta “bio-diversità” donataci dall’avvento di ogni razza.
      Buon 25aprile.
      Ps: mi ci sarebbe voluta poi una sorridente chiosa labronica o da Cetto Laqualunque quando, deliberatamente, in questo saggio consesso di vino-e-vite/a, ci si concentra su aggettivi o fattori paralleli per non raccogliere invece il mio più serio input con cui chiusi il breve testo.

      • Ahi ahi ahi Daniele, lei annaspa cercando di autocertificarsi come persona di cultura usando termini che in tutta evidenza maneggia in modo goffo – “collide”, “sinapsi”, “chiosa labronica” – e poi cade nella più avvilente dimostrazione di pochezza da venditore di spazzole con il tragico “input”. Fa bene a girare alla larga.

  4. Montalcino è stato per secoli un luogo dove i “meticci” hanno vissuto, creando quel tessuto sociale che oggi si avvale di altri innesti i quali continueranno la strada tracciata dagli avi. Montalcino era lungo la via francigena e questo ha permesso ha più di un pellegrino di fermarsi in loco non solo per un breve ristoro ma per tutta la vita. Del resto gli Ilcinesi erano famosi prima nello staterello senese e poi in quello fiorentino per essere dei bravi ed affidabili contabili. Per questo lasciarono la loro terra natia ed andarono a cercare fortuna e moglie in altre località, dalle quali tornarono (qualcuno) con moglie che definire meticce era mettere un freno alla fantasia. Quindi per secoli Montalcino è stato un luogo per niente chiuso all’altrui sangue e cromosomi. Ultimo (da me conosciuto) in quest’unione di destini è il nonno di un produttore locale, che dovendo ritornare nel natio sud e partecipando fortemente del l’allora partito che credo il signor Daniele tenga in gran conto, pensò di prendere due piccioni con una fava partecipando alla marcia su Roma. Arrivato però all’altezza di Torrenieri si ritrovò a dare una mano a dei contadini che stavano trasportando un tino di vino sul carro ma…da carro nasce carro, così rimase fulminato da una bellezza locale, si scordò il ritorno al sud e rimase in zona per poi produrre vino. Quindi caro signor Daniele, oltre che sbagliata per mille ed un motivo la sua disamina è falsa e dettata da ignoranza, nel senso di ignorare la storia.

  5. Ringrazio Emanuele, Fabio e Carlo per il loro contributo. Ringrazio anche Daniele per essersi impegnato a dimostrarsi proprio antipatico e lo rassicuro. Io non la considero fascista – un termine che mi sembra qui venga usato al posto di “razzista” – bensì solo un povero di spirito e di mente. Mi dispiace che tutto quello che da lei viene ricordato dopo “quasi un lustro vissuto sul ciglio di questo paesaggio” sia quanto ha scritto. Cercherò di sopravvivere lo stesso.

  6. Da padre di meticci, da nome straniero pur nella mia propria Patria, approfitto di una data che sempre onoro per citare qui i famosi versi del pastore protestante tedesco Martin Niemöller (sì, non sono di Bertold Brecht cui spesso sono attribuiti).

    Mi pare forniscano adeguata risposta.

    “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari,
    e fui contento, perché rubacchiavano.

    Poi vennero a prendere gli ebrei,
    e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

    Poi vennero a prendere gli omosessuali,
    e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

    Poi vennero a prendere i comunisti,
    e io non dissi niente, perché non ero comunista.

    Un giorno vennero a prendere me,
    e non c’era rimasto nessuno a protestare.”

  7. coraggio, daniele. se si impegna puo’ ancora farcela ad uscire dal medioevo prima della fine del 2013

  8. Sconforto. Questa e’ la sensazione che provo nel leggere i commenti di Daniele. Non ci si arricchisce solo imparando parole sul vocabolario ma anche e soprattutto conoscendo persone diverse da noi. Sempre. Magari, approcciando con semplicità e umiltà. Così come dovrebbe essere per il vino. Un abbraccio agli amici Carlo e Fabio.

  9. Dunque, io sono un Montalcinese purosangue. E vivo in una terra la cui identità non è stata diluita né dalla diaspora (i due terzi dei montalcinesi sono dovuti andate a vivere altrove), né dalla povertà e neppure recentemente dalla ricchezza. I nuovi montalcinesi sono la nostra ricchezza perché i loro figli saranno nostri, così come sempre è stato.

  10. PS lo sapete quale è la più antica famiglia documentata a Montalcino? Sono i Levi di Montalcino, o Levi Montalcini se preferite, che sono documentati qui dal 1200. Noi siamo arrivati solo un secolo e mezzo dopo.

  11. Sono arrivati i troll anche qui, siatene fieri, e non alteratevi, “è la rete, baby…”

    Se invece non sono troll, la madre dei cretesi è sempre incauta, “è la demografia, baby…”

    In un caso o nell’altro, tutto contribuisce a svelare la natura delle cose e delle persone.

    Augh.

    • Avevo un’idea solo vaga di cosa fosse un troll, sono andato a leggere meglio: in effetti la definizione in questo caso calza. Aggiungo che secondo una nota, acuta affermazione, “lo stile è l’uomo”. Svela la natura delle persone anche – e forse soprattutto – l’uso di una parola al posto di un’altra, un termine ripetitivo, un dettaglio linguistico. Correggere qualcuno su un errore di battitura o nella declinazione di un verbo è quindi stupido; cogliere o cercare di cogliere la visione del mondo di chi scrive nel modo in cui scrive è – credo – un altro.

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