di Rizzo Fabiari
Si cresce, enologicamente parlando, affaticati da un reticolo di norme vincolanti, dogmi, luoghi comuni. Si teme di passare per trogloditi se si sgarra dal galateo del buon bevitore e dal politicamente corretto (il territorio come nume tutelare e indiscutibile, ah quanto sono meglio i piccoli vignaioli, magari ottantenni, ah quanto è meglio il vitigno dimenticato, ah quant’è poetico bere nelle vecchie osterie di paese).
Poi ci si rompe i coglioni e si comincia a essere liberi; o almeno, un po’ più liberi.