Giulio Gambelli: prosa e poesia

di Carlo Macchi

[Giulio Gambelli, impareggiabile interprete del sangiovese, mastro assaggiatore, uomo di rara modestia e sensibilità, se n’è andato da quasi un anno. Qui due ricordi tratteggiati con agilità da Carlo, suo eminente biografo: uno in prosa (dal suo libro Giulio Gambelli, l’uomo che sa ascoltare il vino, ed. Seminario Veronelli), l’altro in versi, sorta di haiku nostalgico.]

Per i non toscani “L’appalto” era un negozio che aveva in appalto la vendita di alcuni beni di prima necessità, come lo zucchero o il chinino, ma vendeva anche altre cose ed era una specie di punto di ritrovo paesano. L’Enopolio è quello che oggi è chiamato Granducato ed allora era una cantina gigantesca, dove non solo si raccoglieva vino per poi infiascarlo (o imbottigliarlo) e spedirlo in tutto il mondo ma molte aziende della zona ci vinificavano le proprie uve.

“Fra tutti s’aveva una miseria che ci portava via!” È una delle frasi che più ricorrono in bocca di Giulio quando parla di quei tempi. Quindi ci si doveva divertire con poco o con niente e il bambino amava correre nei campi, cercare e rincorrere lucertole, ma aveva una predilezione anche per giochi da adulto, come il biliardo. Tra le quattro sponde il gioco che preferiva erano quelli che non prevedevano l’uso della stecca, come le “boccette”. Sopportava invece poco (e sopportò poco anche in futuro) il dover stare nell’Appalto. Qui lo si poteva trovare nelle ore serali e notturne, quando dava il cambio al padre Sandro e teneva aperto sino a mezzanotte. Queste ore però per Giulio non erano di lavoro, perchè il negozio si riempiva di amici e si tirava avanti chiacchierando sino a tardi.  L’Appalto si trovava in Via Maestra, la strada centrale del paese, a pochi metri dalla casa dove Giulio era nato e abitava. Questo negozio ebbe comunque un ruolo importante nella vita di Giulio: aperto dal nonno, alla sua morte passò alla moglie e alla figlia Gemma che, affiancata dal  marito Alessandro, riuscì a dare un sufficiente tenore di vita alla famiglia. Come detto non c’era comunque da scialare e il piccolo Giulio doveva contribuire al bilancio familiare anche con commissioni in varie parti del paese. Una di queste consisteva nell’andare all’Enopolio  a comprare dello zucchero. Viene naturale immaginarsi il bambino a bocca aperta di fronte alla galleria di gigantesche botti da invecchiamento o alle smisurate vasche in cemento (una era addirittura di 1460 quintali). Anche i vagoni carichi di fiaschi con la  locomotiva a vapore che veniva a ritirarli erano senza dubbio uno spettacolo da non perdere. Venne così spontaneo a babbo Alessandro, dopo che un Giulio con non molta voglia di studiare aveva finito la terza Avviamento (l’equivalente della terza media), chiedere al direttore dell’Enopolio di assumere il ragazzo. Era il 1939: l’Italia stava per entrare in guerra e Giulio nel mondo del vino.

Ricordando Giulio

Non è facile descrivere
L’impotenza di fronte al genio.
Non è bello parlarne,
Rischi di sporcare
La purezza della semplicità.
La somma di esperienze
mai banali e spesso sofferte
lui le trasformava in sguardi lieti
sorrisi, ammiccamenti.

Tre parole bastavano
Eri tu che dovevi
metterci l’amore per capire.
Quell’amore che Giulio regalava
Anche a chi non amava il vino.

2 commenti to “Giulio Gambelli: prosa e poesia”

  1. Commovente ricordo nelle parole di Carlo Macchi, con una forma di emozione austera che è proprio toscana. Proprio oggi a Roma verrà ricordato un uomo che non solo ha saputo ascoltare il vino, ma anche farlo parlare, cantare, volare e rimanere nella nostra memoria.

  2. Belle parole Carlo, ma il più bel monumento a Gambelli (vorrei chiamarlo amico, ma le poche lunghe conversazioni non sono sufficienti ad autorizzarmi a farlo) sono le opere; tanti grandi sangiovesi che hanno fatto una strada enorme nel mondo.

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