Rolling Stones

allegria degli stones

(ovvero “Armando aveva ragione, ça va sans dire”).

 di Giancarlo Marino

I mie tre lettori tre possono stare tranquilli, non parlerò di musica. Tra l’altro sono da sempre un fan dei Beatles, più raffinati e più affini al mio senso estetico.

Sono reduce da una tre giorni borgognona quanto mai divertente e interessante. Come al solito, nel programma avevo inserito la visita ad un “nuovo” produttore. Questa volta, in realtà, si trattava solo di una mezza novità. Seguo Benjamin Leroux dal 1999, anno in cui appena ventitreenne divenne Regisseur del Domaine Comte Armand a Pommard, e i suoi vini mi sono sempre piaciuti, con particolare menzione per l’ottimo Pommard 1er cru Clos des Epeneaux. Sapevo che dal 2007 aveva iniziato anche una piccola attività di négoce a suo nome (Domaine Benjamin Leroux, per l’appunto) e avevo provato con soddisfazione alcuni suoi vini in occasione delle tante manifestazioni locali. Quest’anno ha lasciato l’incarico di Regisseur per dedicarsi a tempo pieno alla nuova attività. Era quindi il momento giusto per visitarlo nella sua nuova realtà e approfondirne la conoscenza.

Nel corso della visita Benjamin ci ha inondato di dati tecnici e non solo. Quello che più mi ha colpito è la filosofia che lo guida nella sua nuova attività. Il Domaine possiede già alcune vigne (circa il 20% della produzione viene da queste), per il resto acquista uva, esclusivamente uva, da produttori che stima per la cura nella conduzione delle vigne e che sono disposti ad accettare un confronto a riguardo. Nella scelta delle vigne, si lascia guidare anche dal desiderio di rivalutare piccole e piccolissime parcelle che, per i motivi più disparati, a suo dire non hanno ancora espresso pienamente il proprio potenziale.

Ammetto la mia leggera preferenza per i vini rossi borgognoni rispetto ai bianchi (eufemismo tra i più spudorati) e ammetto, quindi, anche di non aver mai avuto una esperienza dei vini bianchi prodotti da Benjamin. E, una volta deciso di lasciarmi andare ad un coming out totale e liberatorio, ammetto infine di non aver mai subito il fascino dei vini bianchi di Chassagne-Montrachet (con l’ovvia eccezione dei grands crus della collina di Montrachet), preferendo a questi i vini di altre zone (Meursault in prima fila, Puligny-Montrachet, Corton, Chablis a ranghi compatti, e altre ancora a seguire in ordine sparso). Con una certa sorpresa da parte mia, dopo averci servito alcuni vini bianchi del 2013 da Auxey-Duresses, St. Aubin, Meursault e Puligny-Montrachet, Benjamin ci ha proposto un vino di Chassagne-Montrachet, il 1er cru Tete du Clos. Dando per scontata una certa progressione negli assaggi, mi accingo all’assaggio con grande curiosità.

Tete du Clos è una piccola parcella di poco più di due ettari che, catastalmente, fa parte del ben più vasto 1er cru Morgeot, quasi 60 ettari. Chassagne-Montrachet, e Morgeot in particolare, è storicamente una zona da rossi: fino a quando, a cavallo delle due guerre, non sono stati iniziati i reimpianti delle viti spazzate via dalla fillossera, lì si coltivava prevalentemente pinot nero; solo successivamente questo è stato sostituito dallo chardonnay, per motivi squisitamente commerciali essendo il vino bianco più richiesto del vino rosso. Ma Tete du Clos si trova nella parte alta di Chassagne-Montrachet, all’inizio di una striscia che prosegue a nord con La Romanée, Le Grandes Ruchottes e Cailleret, come dire tre dei migliori climat di Chassagne-Montrachet per i bianchi. E’ una zona fresca, leggero pendio esposto a est, con il suolo/sottosuolo che tutto sommato differisce non poco da quello del resto di Morgeot: qui prevalgono le marne bianche e la ghiaia, terra più da bianchi che da rossi, quindi. Questa piccola enclave è sconosciuta ai più, certamente non a Benjamin che la reputa di altissimo valore e cerca di farla uscire da un ingiusto anonimato.

Mi era capitato di assaggiare il Tete du Clos un paio di volte in passato, nella versione peraltro abbastanza convincente di Vincent Dancer. Poi più nulla, mai più assaggiato e neanche mai più visto nulla.

Questo 2013 brilla per purezza, eleganza, dettaglio, proprio quello che trovo più facilmente a Puligny o a Meursault. Pur essendo un vino raffinato, quasi di cesello, non manca di struttura e profondità: il tutto è reso in perfetto equilibrio da una acidità salina, quasi iodata, con pennellate di agrume, viva ma non troppo esuberante. Un vino, come direbbero lì, davvero aerien. Pur con tutte le cautele e i distinguo del caso, mi ha ricordato alcuni Chevalier-Montrachet. Per ultimo vino bianco, Benjamin ci ha fatto assaggiare uno splendido Batard-Montrachet (3 pieces da vigna di proprietà su Chassagne, lato Puligny), che non ha sovrastato il Tete du Clos se non per una maggiore struttura (non si è bastardi per caso).

 

E il titolo?

Il vino è tutto tratteggiato sui toni chiari, freschi, floreali e ciottolosi, e vibra di una energia interna inarrestabile seppur sempre sotto controllo. Fiori e sasso, sasso e fiori, in continuo movimento…et voilà… rolling stones.  La canzone sceglietela voi, al più posso suggerire Satisfaction.

E il sottotitolo?

Con Armando Castagno abbiamo più volte discusso, io affermando che Chassagne-Montrachet è zona nettamente inferiore a quelle vicine, lui sostenendo il contrario. Se a Chassagne-Montrachet si trovano altri vini come questo (e li cercherò, ah se li cercherò) farò ammenda totale. Nel frattempo posso dire di aver trovato uno Chassagne-Montrachet che non ha nulla da invidiare ad altri borgogna, di altre zone, che a torto preferivo.

p.s. Nell’emozione del ricordo dell’assaggio mi sono dimenticato di dire che Benjamin Leroux è davvero uno in gamba, anzi di più, uno molto in gamba.

One Comment to “Rolling Stones”

  1. Start me up

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