di Raffaella Guidi Federzoni
La domanda è arrivata subdola, dopo un’ora e più passata a discutere sul senso del vino italiano, il suo futuro, le sue possibilità commerciali. Luogo della discussione: Seul, Corea. Arrivati dopo una tappa a Pechino, una a Hong Kong, una a Tokyo. Il mio interlocutore è un uomo di vino e di mercato, una persona che ha un suo enogusto personale e uno invece professionale. Per capirci, io mescolo i due gusti con risultati poetici e raffinati, ma anche poco concreti, monetariamente parlando. Io riesco a vendere un vino della cui qualità sono pienamente convinta, lui vende vini anche così così che però interpretano e si adeguano ai palati ignoranti e immaturi dei nuovi ricchi globali.