Al rogo

di Fabio Rizzari

Un giovane collega, Francesco Romanazzi, mi fa leggere qualche pagina del savonaroliano libro Dioniso Crocefisso di Michel Le Gris. La parte del volume che mi propone fustiga selvaggiamente la critica enologica, alla quale – si intuisce nemmeno troppo tra le righe – l’autore riserverebbe volentieri un bel rogo. Per criticare tale critica con un minimo di fondatezza dovrei leggere, anzi studiare nei dettagli, l’opera in questione. Ma siccome il politicamente corretto non mi interessa, me ne frego ed esprimo comunque un paio di concetti cotti e mangiati.

Il vino non è un totem intoccabile, che il contatto impuro con un simboletto o addirittura un voto (orrore!) può violare nella sua dignità.
La tendenza a sacralizzare il vino, legittima e anzi ammirevole in epoca di mercificazioni estreme, fa però rischiare ad alcuni una pericolosa deriva, il fanatismo religioso.

Vivere quasi con un oscuro senso di colpa il fatto di circoscrivere un vino in un racconto breve, in una scheda, in una visione di sintesi, mi pare sproporzionato e vagamente apocalittico. Un vino è una cosa complessa ma insieme molto semplice e quotidiana. Non è un banale “prodotto”, perché portatore di verità profonde e parte radicata della nostra identità culturale, ma non è nemmeno un idolo davanti al quale prostrarsi in un silenzio mistico. Si può valutare, con il rispetto dovuto, ma senza complessi.
Insomma: prospettiva laica e critica, sì, visioni sciamaniche e angosciate dall’oggetto sacro, no.

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