di Giampaolo Gravina
Nel motto latino degli alterati, longe alius, lampeggia a mio avviso un dispositivo che mostra la sua validità non solo in riferimento alle vicissitudini del degustare vini, ma il cui funzionamento rimanda più in generale allo statuto stesso della percezione, chiamando in causa la sua considerazione filosofica.
In particolare, un intenso richiamo al “longe alius” compare nella Fenomenologia della percezione, fondamentale studio dedicato al problema della percezione dal filosofo francese Maurice Merleau-Ponty (d’ora in avanti: Merlot) noto fenomenologo di formazione bordolese. Leggendo questo imprescindibile testo pubblicato nel 1945, ci si imbatte a un certo punto (a pag. 52 della mia vecchia traduzione per Bompiani) in questo passaggio cruciale:
«Se cammino su una spiaggia verso una nave arenata e il fumaiolo o l’alberatura si confondono con la foresta che delimita la duna, vi sarà un momento in cui questi dettagli si congiungeranno vivamente al battello e si salderanno con esso. A mano a mano che mi avvicinavo non ho percepito somiglianze o prossimità che infine avrebbero riunito in un disegno continuo la sovrastruttura della nave. Ho soltanto sentito che l’aspetto dell’oggetto stava per cambiare, che qualcosa era imminente in questa tensione così come il temporale è imminente nelle nubi. A un tratto lo spettacolo si è riorganizzato dando soddisfazione alla mia attesa imprecisa».
Cosa ci insegna questa parabola? Cosa ci guadagniamo a sapere di un tizio in cammino su una spiaggia che scorge in lontananza il relitto di una nave arenata? Qual è la posta in gioco di questo “longe alius”? Io la metterei così: il filosofo Merlot, che si conferma particolarmente a suo agio sui terreni sabbiosi, ci suggerisce un ripensamento profondo delle nostre convinzioni sul funzionamento del dispositivo della percezione. E ci ricorda, tra un bicchiere e l’altro, che la percezione rinvia sempre a un campo, a una rete, a un contesto di relazioni, a una configurazione già almeno parzialmente organizzata, formata e strutturata, a un orizzonte di senso già da sempre all’opera.
Nella percezione, stando alle parole del filosofo Merlot, dobbiamo fare i conti con la problematicità del sentire, con il suo «alone di mosso», con la sua ambiguità. Nella percezione l’unità dell’oggetto ci è possibile coglierla solo «a un tratto», senza preavviso, fondata come è «sul presentimento di un ordine imminente», su una «vaga inquietudine». Nella percezione l’unità della cosa non è costruita per associazione ma, in quanto condizione dell’associazione, precede gli accertamenti che la determinano e la verificano: «precede se stessa», precisa Merlot (che in tema di anticipo sui tempi, anche vendemmiali, sembra saperla lunga).
E insomma nella percezione non solo “longe alius”, da lontano è un altro, vino compreso. Ma a ben guardare anche da vicino …