La sangria naturale

antica fabbrica di sangria

Ovvero del felice riutilizzo dei vini respinti perché considerati difettosi

di Francesco Romanazzi

Da lungo tempo la cronaca enoica più autorevole concentra la propria attenzione sui numerosi casi di sanzioni amministrative e pecuniarie che molti produttori od operatori del settore sono costretti a subire a causa di leggi dalle maglie sempre più strette, rischiando però di tralasciare le questioni più terra terra che spesso affliggono la routine quotidiana dei venditori-bevitori del nettare di Bacco. Noi allora, dal nostro basso profilo di alterati (e non alteri), vogliamo parlarvi non tanto di quei vini cui non è stata riconosciuta la giusta dignità legale, quanto di quelli che molto più prosaicamente vengono respinti – o “avanzati” – dai clienti dei negozi, dei ristoranti e delle mescite più improbabili, clienti che sono i destinatari finali di prodotti che spesso vengono mal comunicati o mal proposti e quindi il più delle volte mal compresi.

Mentre dalle colonne dell’Internazionale si alza un grido di indipendenza, mentre alla Camera si propone un’interrogazione parlamentare sulla definizione del vino naturale (pensate, proprio qualcosa di “naturale” ha bisogno addirittura di un’interrogazione parlamentare), noi diamo invece diritto di cronaca ad una pratica dimenticata ma capace di restituire il giusto valore ai vini non apprezzati: la pratica del riutilizzo – o riciclo – e della miscelazione.

Ad ispirare questa facile e divertente soluzione è stata una smaliziata cuoca catalana che, per rinfrescare gli afosi pomeriggi dell’estate appena terminata, confezionava un’ottima sangria con i vini snobbati o abbandonati dai clienti del ristorante dove lavora. E’ già, perché si dà il caso che una piccola parte dei vini naturali italiani da alcuni considerati buonissimi e realmente espressivi di un territorio o dell’interpretazione dell’annata da parte di un produttore, venga invece respinta da una fetta considerevole di consumatori.

Di conseguenza, la nobile pratica del riciclo dà vita ad una bevanda fresca, sana e corroborante, che premia – in appello – la fatica contadina non compresa, e che offre la comodità di accompagnare senza impegno né sforzi gli scampoli di un’estate ormai alla fine.

In un grosso barattolone di vetro si sono così incontrate, insieme ad una buona dose di dolci albicocche, croccanti pesche bianche rigorosamente non sbucciate ed un melenso melone, tre perle dell’enologia italiana degli ultimi due anni e mezzo.

Perle la cui brillantezza non è stata e non sarà mai offuscata dai numerosi ostacoli burocratici che si frappongono tra l’uva ed il bicchiere. Come dimostra il caso del Ruché 2011 della famiglia Rinaldi, protagonista di una ridicola sanzione di cui potete leggere qui la storia, o come dimostra la vicenda della “Bandita”, la deliziosa barbera 2011 di Nadia Verrua (Cascina Tavijn) che è stata appunto “bandita” dalla Docg Asti a causa di ben due commissioni di assaggio che non l’hanno ritenuta conforme alla denominazione.

Di seguito dunque la “base” di questa favolosa sangria.

Nebbiolo 2011 Rinaldi. Frutto del declassamento a “Langhe Nebbiolo” delle uve provenienti dal famoso vigneto Ravera in Barolo, è da molti considerato uno dei nebbioli più austeri ed eleganti prodotti nella denominazione. Questo 2011, assai spontaneo e fragrante, e piacevolmente tenero rispetto ad altre annate, è stato talvolta accusato di una certa imprecisione olfattiva. Noi non siamo d’accordo, e continuiamo a proporlo, a stapparlo e a berlo con entusiasmo. Ma il mondo è bello perché è vario, si sa. Infatti alcuni clienti – ahimé assai varii rispetto a noi – non l’hanno finito. E allora via, nel barattolone insieme alle albicocche, mature e profumate, oppure alle pere, sicuramente più stagionali.

Barbera 2012 “sfusa” Cascina Tavijn. Troppo acida forse questa bevibilissima barbera, troppo lontana dal modello di barbera muscolare e morbidosa a cui siamo stati abituati negli ultimi decenni. Noi nostalgici invece siamo rimasti attaccati a “quando c’era lei”, la barbera fresca, da pasto e non da degustazione, corroborante e pulente. Meno male che Nadia resiste. Un bell’esempio di conservazione virtuosa, anziché di bigotto conservatorismo o di ingenuo modernismo. Comunque, via nel barattolone tutto l’avanzo della caraffa che era stata servita a clienti con palati forse troppo altolocati per apprezzare un vino così popolare e figlio della terra. Il dolcissimo melone della sangria saprà attenuare le asperità del lavoro nei campi.

Berace 2010 Massavecchia. Dal 2009 è tornato finalmente il rosso “base” dell’azienda, nell’annata in questione (2010) prodotto con merlot, sangiovese ed una piccola parte di cabernet. Al banchetto di Fornovo (Vini di Vignaioli), lo scorso novembre, alcuni hanno storto il naso per la presenza in questo vino di “uve internazionali” – questi “alcuni” sono ovviamente gli stessi che dieci anni fa l’avrebbero osannato per lo stesso motivo – altri l’hanno criticato perché troppo amaro, o crudo. A noi invece piace perché è grintoso, tannico, incazzato, e guarda a fronte alta tutte le blasonate – e talvolta impersonali – produzioni della zona intorno a Massa Marittima, rivendicando originalità espressiva nel suo bel sapore rustico, sanguigno e croccante. Non per tutti, sicuramente non per quei signori che l’hanno trovato lontano dallo stile dei rossi toscani a cui sono abituati. E qui sulle parole “stile”, “toscano” e “abituato” si aprirebbe una discussione senza fine. Comunque abbiamo pensato che “ con le pesche sta da paura”, e quindi via pure lui nel barattolone.

Dunque, fate macerare una buona parte di frutta (come dicevamo, noi abbiamo usato albicocche, pesche bianche e melone, ma la ricetta può essere adeguata ad ogni stagione) tagliata a pezzetti per almeno tre ore con il “mischione dei respinti”, e se amate le dolcezze correggete con un pochino di zucchero – o meglio ancora con del moscato dolce frizzante respinto (o sgasato), se ne avete. Se invece amate le note amare, unite al barattolone un po’ di buon vino chinato. Se preferite infine l’alcol duro, allora gin o vodka nella giusta misura non altereranno l’equilibrio fruttato della miscela. Prima di servire lasciate rinfrescare la bevanda per qualche ora in frigo, e a questo punto siate certi che rimarranno in pochi a criticare troppo a lungo l’audacia di certi produttori vinicoli italiani. E in più portate a casa il praticissimo risultato di non dover più gestire acrobaticamente i fondi di bottiglia o i vini “rifiutati”.

In questi tempi fatti di tensioni, scontri, ipocrisie e cambi di rotta, la morale non può essere che una: l’unione fa la forza. Naturalmente. A buon intenditor poche parole.

One Comment to “La sangria naturale”

  1. B E L L I S S I M O

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