Continuando in Sicilia – seconda parte

Rothko modificato

di Raffaella Guidi Federzoni

Terra bianca

C’è un colore per sentirsi felici? Sì, certo che c’è, è quello che contiene tutti gli altri, il Bianco.
Bianco è il suolo, bianco è il sole che lo illumina e bianco è tutto quello che avverto.
I tanti colori della Val di Noto sono qui radunati. Nel bianco c’è il verde delle foglie e dei grappoli non ancora maturi, il marrone screziato dei carrubi e mandorli sparsi a giro. C’è appena più in là la linea blu intenso del mare, fusa con l’azzurro sfumato del cielo. C’è alle mie spalle il muro rossiccio della casetta che ci ospita.

Qui, nella terra limite prima dell’acqua, non piove da mesi. Eppure la vite cresce bene, anche il pomodoro, piccolo e dolce, ne sto mangiando a manciate, peggio che con le ciliegie.
Da qui si vede lontano, e quello che non si riesce a vedere si intuisce. L’intuizione di un luogo diventa conoscenza dello stesso. Di nuovo conosco la Sicilia riuscendo ad intuirla.

Nello spazio bianco aprono crepe dei vini particolari come le due versioni del moscato, dolce e secco. Il primo avvolgente, profondo, mai stucchevole, una fascia di seta bionda. Il secondo, un ramo snello e nodoso, ancora in crescita nella sua flessibilità degustativa.
La scia più forte ed imperiosa però è una scia rossa. Un rivolo brillante nel carminio dei toni. Un ruscello profumato di mirtillo e altre bacche selvatiche. Una flebo di sangue giovane e scalpitante. Il Nero d’Avola qui è rosso, rossissimo, nella sua accezione sensoriale. Essere rossissimo vuol dire per me essere vitale, vibrante, largo al naso e lungo in bocca. Vuol dire poterlo bere anche in estate e trovarlo fresco, incoraggiante, sensuosissimo. Berlo e poi alzarsi la sera, la prima notte, accennare qualche passo di danza.

La vita nascosta nel bianco è ben rappresentata da un vino rosso, questo colore definitivo elimina il rischio di asetticità, di non-partecipazione. La definizione precisa non è solo nel colore, ma nella personalità di un vino che ho a lungo cercato e sul quale mi sono interrogata anche in questa sede*.
Finalmente mi sembra di averne afferrato l’essenza, di aver trovato un punto di riferimento per una denominazione che ormai dilaga in tutti gli angoli del pianeta terra.
Il Nero d’Avola della Val di Noto ha i contorni definiti e precisi della luce estrema e mediterranea, ha il succo intenso e concentrato datogli dal sole impietoso, ha il bagliore del bianco riflesso dal suolo, una spinta che alleggerisce la pesantezza dell’alcol. Ha un frutto rosso e nero di rovo. Ha la pienezza promettente di una giovane dalla pelle bruna.

Io, che giovane e bruna non sono, sono ugualmente felice, oggi, qui, nel bianco, in Sicilia.

“Ma il pollo…di che sa?” dall’archivio alterato, 22 agosto 2012.

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