di Raffaella Guidi Federzoni
Avevo ventuno anni quando incontrai il primo Ragioniere in carne ed ossa. Lo so che è un ricordo classista, ma è la verità perché allora nel mio ristretto circolo esistenziale, a casa, a scuola e in società i ragionieri non erano compresi come categoria.
Si chiamava Rag. Argentin, così c’era scritto sulla targhetta della sua scrivania, preparava le buste paga, teneva i libri contabili – che ancora oggi rimangono un mistero per me, ma tanto con la fatturazione elettronica il problema non si pone – era completamente calvo e miope.
Era anche un poco stronzo e maschilista, provò a baciarmi durante la pausa pranzo, forte della sua posizione di superiorità nell’organigramma aziendale e convinto che la mia apparente disinvoltura fosse un segnale di disponibilità, non il frutto di buona educazione. Ci provò sbattendo gli occhiali dalla montatura dorata contro il mio zigomo sinistro. Feci un balzo all’indietro degno di un’acrobata e la cosa finì lì, mi tenni a distanza di sicurezza dai ragionieri anche dopo che il livido sullo zigomo scomparve.
Mi è tornato in mente il Rag. Argentin per vie traverse, come sempre mi succede, mentre stavo ragionando di come siamo spesso limitati dentro recinti precisi di conoscenze, frequentazioni professionali, anagrafe e club privati – siano questi sportivi, bocciofili o postlavoristici -.
Lo stesso proliferare di contatti virtuali attraverso immagini e scarse parole non cambia la scena, scegliamo e veniamo scelti in base a parametri di minima comune denominazione.
Poi però arriva un qualsiasi Rag. Argentin e il panorama cambia.
Arriva il momento di rendersi conto che il mondo è bello perché variegato, anche se dobbiamo imparare un linguaggio che ci aiuti a muovere su terreni sconosciuti ed insidiosi per evitare lividi e brutte sorprese.
A me è successo e continua a succedere grazie al VINO, lo scrivo maiuscolo perché la creatura lo merita.
Mai e poi mai la ME ventunenne avrebbe immaginato di trovarsi dopo esattamente quaranta anni a bazzicare in mezzo a categorie anagrafiche e professionali così diverse dalla propria. Invece, ad un’età in cui non solo la generazione della mia mamma, ma tante mie coetanee, al massimo provava o prova il brivido di un corso di tango o ikebana, io saltello fra banchetti, cantine, vigne, aeroporti e marciapiedi metropolitani.
Io parlo, esco, discuto in tre lingue diverse con persone che non hanno mai sentito nominare la mia scuola, il mio quartiere, i miei circoli sportivi di appartenenza e la mia parrocchia.
Neanche so chi abbiano votato, quando e dove e da chi siano nati, cosa leggono o che film abbiano in cima alla lista delle proprie preferenze. Non c’è tempo per chiederlo, se stiamo bevendo un vino che piace a entrambi, magari prodotto proprio da uno di loro.
Il vino è il nostro minimo comun denominatore, la radice sotterranea che ci tiene felici di fronte l’uno all’altro, con in mezzo una bottiglia.
Quando è vissuto così il vino è interclassista, trasversale, transgenerazionale, transnazionale, transcontinentale e transgender.
Il vino è ancora uno dei pochi aspetti culturali che mi fa amare visceralmente la mia terra d’origine, intesa come area mediterranea. Non solo me la fa amare, ma mi rende fiera del privilegio storico di esserne una microcellula, una nano entità.
Si è dibattuto e ancora si dibatte sulla questione “vino come opera d’arte o solo prodotto artigianale?”, senza considerare che in realtà a contare e ad assumere davvero un ruolo fondamentale, persino salvifico nella nostra civiltà indoeuropea semiavariata, è la cultura del vino, di come esso rappresenti un elemento essenziale nell’essere quello che oggi siamo.
La consapevolezza di ciò è un accadimento recente, sottolineato non solo dalla sottoscritta, ma anche da altri attori ed interpreti della scena del vino italico. Anche in questo trovo un minimo comun denominatore, nell’avvertire una diversa conoscenza e valore di quello che fino a poco tempo fa era considerato un semplice alimento, nemmeno troppo sano.
Ora non resta che rivalutare la categoria ragionieresca e poi posso considerarmi soddisfatta.