di Shameless
Tanti anni fa fui coinvolta in un gioco al massacro virtuale, durante l’ora di conversazione in inglese. Si trattava di una classe mista, maschi e femmine, spagnoli, francesi, svizzeri, serbi e la sottoscritta, unica italiana. Ero a Londra in estate da sola, avevo ventiquattro anni e volevo godermi la vita, persino durante l’ora di conversazione in inglese. Il giovane professore era un sadico che amava provocarmi perché ero femmina, italiana e avevo respinto il suo invito a prendere un caffè più tardi. Non si sa come, riusciva sempre a piazzarmi al centro di qualsiasi argomento o destinarmi a impersonare la parte più ingrata, durante simulazioni atte a stimolare la nostra loquacità in lingua angloide.
Quella volta la sfida fu di ricoprire il ruolo di avvocato nel gioco della mongolfiera: un gruppo di personaggi in pericolo decide chi buttare giù per alleggerire il carico. Ciascuno dei passeggeri deve giustificare l’importanza del proprio ruolo per non essere scelto. L’avvocato e il prete sono gli sfavoriti, la puttana e l’imprenditore vincono facile.
Non ricordo cosa raccontai, solo che non persi grazie ad una parlantina disinvolta, convincente abbastanza per restare salda all’interno del cesto fino alla fine del gioco.
L’episodio perso nella notte dei tempi mi si è ripresentato di recente mentre navigavo oziosamente fra le acque internettiane della comunicazione vinosa. Senza accorgermene ho cominciato a buttare giù dalla mongolfiera:il professore universitario, per le troppe parole ed il linguaggio solo per iniziati;
il prete, per l’alone fideistico permeato in ogni singola parola;
la puttana, per l’evidente falsità nelle sue prestazioni;
l’imprenditore, per la spietatezza nel porsi come vincente.
Compiuto il gesto, torno a ricoprire il ruolo di avvocato per vincere la causa “Contenuto vs Ciarpame” in questo ambito alterato che mi ospita.
Vostro Onor…, ehm, gentili lettori,
tutti voi siete consapevoli di come negli ultimi anni la presentazione della propria azienda e del prodotto che essa fornisce – cioè IL VINO – si sia svincolata da protocolli fissi presenti nelle brochures sia cartacee che virtuali. Siete vieppiù consapevoli che quello che un tempo era il ristretto gruppo dei Wine Communicator – cioè giornalisti e critici specializzati – ora si è trasformato in un’ estesissima flash mob* in cui i componenti si muovono a casaccio senza preoccuparsi della sincronicità.
Tutto ciò è spiazzante, ma serve, perché tale crescita esponenziale è stata causata dal bisogno reale di far sapere, conoscere, insegnare con linguaggi e strumenti nuovi e più adatti.
Il vino da solo non basta.
La difficoltà sta nel capire cosa sia utile.
Se fossi DuCognomi disserterei sul perché, il percome e il perquando del problema, essendo invece Shamless passo direttamente alla soluzione che è la seguente:
rivolgetevi a chi sa scrivere storie con un inizio, uno svolgimento e un finale sensato senza barocchismi in forma di parole o immagini.
Il termine storytelling è masticato fino alla nausea, potete ignorarlo e andare avanti scegliendo chi non ne abusa ma vi aiuta a vendere con costanza, se siete vignaioli/produttori/sfornatori di bottiglie colme, e a comprare con discernimento se siete acquisitori e scolmatori di bottiglie seriali.
Può sembrare all’inizio un processo laborioso, ma pensatevi all’interno del cestello sotto una mongolfiera che ha bisogno di salire in alto e non precipitare a terra per la troppa zavorra. Vedrete che sarà più facile fare una scelta.
Ho terminato l’articolazione del breve pensiero, ma ancora non ricordo chi rimase padrone del volo all’interno della classe multilingue in quell’agosto del 1982. Però mi sono ricordata il motivo del mio rifiuto a non prendere il caffè col giovane British Teacher: indossava una camicia stinta e sformata metà ruggine e metà grigia, “Don’t you like it? I thought that Italians have taste.”
* Raduno di una moltitudine convocata all’improvviso per inscenare un’azione insolita, generalmente senza uno scopo, per poi disperdersi rapidamente.