di Raffaella Guidi Federzoni
“Mi scusi se glielo dico, ma lei proprio non sa parlare in pubblico”. Così mi seccò parecchi anni fa Francesca Colombini, l’unica e autentica Signora del Brunello, al termine di una mia presentazione aziendale di fronte ad una cinquantina di studenti indisciplinati. Incassai il rimprovero, ne feci tesoro e negli anni successivi mi applicai per migliorare.
Da allora ho raccontato l’azienda, i suoi vini, Montalcino, la Toscana, l’Italia, davanti ad un pubblico che poteva consistere in 6 camerieri brasiliani, 20 cinesi ricchi ed ubriachi, 60 silenziosissimi sommelier giapponesi, 125 donne in carriera canadesi. Per ogni tipologia di ascoltatori, una prestazione diversa, anche se il succo del racconto ed il suo obiettivo non sono mai cambiati. Rendere vivo il senso del vino per venderlo.
Farlo in inglese mi riesce meglio che in italiano. Quando utilizzo la mia madrelingua rivolgendomi ai miei conterranei sono condizionata dalla sensazione che chi mi ascolta desidera notizie più tecniche che poetiche. Molti sono stati a Montalcino, conoscono già i vini, vogliono quindi conferme relative al loro gusto, informazioni sulla vinificazione, sapere la tipologia del suolo, l’età delle vigne, le qualifiche dell’enologo. Questo limita le mie capacità interpretative anche se sicuramente stimola la mia professionalità.
Come dire, non c’è spazio per la creatività.
Dipende anche dall’impostazione anglosassone, americana soprattutto, relativa al parlare in pubblico. Parlare per convincere, non solamente per informare.
Un esempio perfetto ci è donato in quel capolavoro di film che è The wolf of Wall Street. Un film che non è solo un bel film di Martin Scorsese con Leonardo Di Caprio in stato di grazia. Un film costruito come una cattedrale laica ed imponente, un monumento non solo al consumismo spinto e al desiderio di potere economico, ma ai mezzi per ottenere dominio sugli altri. Jordan Belfort, impersonato da Di Caprio, è un comunicatore travolgente. Le scene più impegnative del film sono quelle in cui lui parla ai suoi collaboratori e dipendenti. Questi sono soggiogati dall’alternarsi di frasi, più o meno banali, ma modulate ad arte. Belfort a volte sussurra, a volte urla. Tiene un ritmo sincopato da sincope. Non gesticola poi tanto, si muove come un felino od un rinoceronte. Guarda tutti e nessuno. Colpisce e scolpisce il proprio trionfo.
Il film l’ho visto in aereo, nel mio viaggio di ritorno dagli USA. Per tre ore sono rimasta agganciata al piccolo schermo di fronte al sedile. Mentre trasvolavamo l’Atlantico,in direzione Vecchio Mondo, il quale sta sempre più somigliando al Nuovo, purtroppo. Guardandolo ho trovato la conferma dolce/amara che la maggior parte di noi può essere facilmente convinta di tutto. Che conviene investire i propri sudati risparmi in azioni monnezza, che la salvezza ci viene da Gesù reincarnato in Arkansas , che mangiare tutti i giorni quattro etti di papaya ti salva dal cancro, che gli alieni pisciano nel mio giardino.
Anche che il vino buono , unico e specialissimo lo faccio solo io.
Basta saperlo dire, o scrivere.
Tutto sta nella nostra etica. Nel nostro credere veramente in quello che stiamo raccontando. Essere consapevoli di dire la verità, solo leggermente abbellita dalla poesia.
La tentazione di essere lupo fra le pecore è forte; la sensazione di onnipotenza, seppure limitata ad una stanza con un paio di dozzine di persone che si aspettano una performance all’altezza, può far perdere l’equilibrio.
Esagero? Fino ad un certo punto. Provate anche a voi a mettervi in piedi di fronte a tutti gli altri seduti. Schiaritevi la voce ed iniziate a dar fiato alle vostre parole dicendo:
“Buona sera e grazie per essere qui. Mi chiamo Raffaella e rappresento un’azienda in Toscana di proprietà della stessa famiglia da circa sette secoli. Più o meno la mia età. Se vi chiedete come faccio a sembrare più giovane, la risposta è: Brunello di Montalcino…”
(Vabbé, non è che vada proprio così, ma prima o poi giuro che inizio una presentazione in questo modo).