di Rizzo Fabiari
Dato il mio sconfinato amore per la Francia, e sovra ogni altra cosa per i vini francesi, posso ben permettermi una marginale, affettuosa deriva sciovinista. Stavolta pro Patria mia: l’Italietta che tutti noi italioti amiam/odiamo, che tutti noi italioti odiam/amiamo.
Per un curioso, misteriosissimo ma documentabile destino, i cugini gallici sono costretti a un colossale atto di rimozione collettiva. Un atto che non possono eludere, causa un’evidenza che lavora nelle profondità della loro coscienza di nazione come un rovello inconfessabile.
L’evidenza storica è questa: i maggiori simboli della francesità o sono italiani tout court, o hanno solide radici italiane. Poveri cugini, che smacco! che ferita all’orgoglio patrio!
Occorre fare esempi? Vabbè, soltanto qualcheduno. Per dire:
1) il più francese dei condottieri e homini politici: Napoleone Bonaparte. Nato in Corsica un annetto e mezzo appena dopo la cessione dell’isola da parte dei genovesi in difficoltà economiche.
2) la più francese delle auto: la DS della Citroen. Disegnata da un italiano, Flaminio Bertoni.
3) il più francese (o quasi) dei musicisti, fondatore dell’Opéra transalpina: Jean Baptiste Lully, ovvero Giovan Battista Lulli da Firenze.
4) la più francese delle architetture: la reggia di Versailles, più o meno maldestramente copiata dalla reggia di Caserta (Luigi XIV, noto veggente e e sensitivo, l’aveva sognata nell’autunno del 1691 e successivamente descritta nei minimi particolari ai suoi architetti), costruita et decorata da maestranze eminentemente italiche.
5) il più francese (o quasi) degli chansonnier: Yves Montand, ossia Ivo Livi dalla Tuscia.
6) la più francese delle tradizioni, quella cucinaria: per un buon 50% scaturita dai cuochi fiorentini arrivati al seguito di Caterina de’ Medici.
E infine, ciliegina sulla torta, la più francese delle musiche, addirittura l’inno nazionale La Marsigliese: composta nel 1781 da Giovan Battista Viotti*, come dimostra inoppugnabilmente un manoscritto firmato e datato rinvenuto nel 2013, e plagiata ben undici anni dopo, nel 1792, dal compositore “ufficiale” Claude Joseph Rouget de Lisle. Che infatti, “dato che ciaveva il culo sudicio”, come dicono umorosamente a Livorno, ha consegnato la partitura priva di firma.
Eccetera eccetera.
Di nuovo, e infine: poveri cugini, che smacco! che ferita all’orgoglio patrio!
* a titolo di eloquente confronto: https://www.youtube.com/watch?v=hRDKpNjGcgs