di Raffaella Guidi Federzoni
Veramente i miei post in gestazione erano altri due. Il primo già quasi scritto completamente, il secondo arrivato a metà strada. Entrambi scritti con tono pontificale, sentenzioso, supponente.
Invece ci vuole umiltà. Soprattutto in questa stagione.
Soprattutto quando l’inverno è serio. Quando il freddo taglia le mani di chi pota e se c’è il sole, questo è crudo ed impietoso nell’illuminare la pelle e gli occhi di chi si sta facendo il solito culo in vigna. Anche in cantina non si scherza, ci sono i travasi e gli imbottigliamenti. Si preparano le prime spedizioni delle nuove annate. Il lavoro viene svolto da gente umile, umile sul serio.
Non come me che le vigne me le guardo dalla macchina o al massimo le attraverso per una passeggiata domenicale. Non come me che cerco di rendere il senso del vino con le parole e poco altro.
Fra una decina di giorni ci saranno le anteprime, ma chi ci permette di esserci non ha mai smesso di lavorare. Questa dovrebbe essere una bella annata da presentare. Molto vino è già prenotato, il resto si venderà con più facilità degli anni passati. I punteggi volano alti, altissimi, i prezzi un poco meno perché comunque la crisi del mercato esiste e non possiamo tornare al bel tempo antico.
Così ho messo da parte quel che avevo scritto.
Scrivo invece questo, che vuole essere un riconoscimento sincero, di cuore, a chi non ha voce, ma mani e gambe e fa tutto quello che io non riesco a fare, da queste parti e altrove nel mondo, per continuare a tirare fuori dalla terra il prodotto dell’uomo, padrone e servitore della natura.
“Il vino è il canto della terra verso il cielo” è stato scritto. Può essere, ma per far sì che il canto non sia stonato l’interprete si deve impegnare, a volte anche sparando qualche bestemmia.
Non sempre la performance riesce, ci vogliono anni da lavoro e di studio sul campo, cioè in vigna innanzitutto e poi in cantina. Il lavoro è continuo ripetitivo, faticoso.
Sono in tanti, maschi e femmine, che prima e dopo la Candelora passano ore a darci dentro di forbice. Alla fine della giornata le mani sono stanche ed anchilosate. Più che poesia, si tratta di prosa. Puoi amare fin che vuoi quello che fai, ma sei sfatto lo stesso. L’azione è determinante per i risultati futuri. Chiamalo pure “gesto agricolo” se ciò alleggerisce il mazzo che ti fai. Sempre mazzo è.
C’è un mio amico, produttore di un Brunello sempre buono e autentico e di un Rosso di Montalcino a volte strepitoso. Ha le dita tranciate in una mano, per colpa di un trattore o di un attrezzo in cantina, non ricordo bene. È successo tanti anni fa. Continua a curare la sua vigna come un giardino prezioso. In questo periodo si ferma solo per “fare il maiale”, cioè per macellare quel paio di maiali che per un anno ha cresciuto nel bosco di proprietà. Oppure interrompe per partecipare alla presentazione in anteprima delle sue ultima annate in commercio. Per l’occasione si spoglia della tuta e indossa una giacca, persino una cravatta. Si vede che soffre però, preferirebbe tornarsene lì, in mezzo ai filari, a schiantare di freddo, a cuocersi la pelle grazie alla tramontana.
Lui non lo sa, ma è un poeta vero, umile e senza seghe. I suoi vini non raggiungeranno mai punteggi massimi, ma intanto li vende e bene, anno dopo anno. Insieme al fratello ha consolidato un’azienda che fa campare un paio di famiglie, e non può concepire una vita diversa e più soddisfacente di quella che conduce.
Questo per me è il mondo del vino.
E ora andiamo avanti, anteprimiamoci di nuovo.