di Faro Izbaziri
Forse non è cosa da parlarne altrui, sendo una faccenda privata, ma ne scrivo lo istesso. O voi commercialisti, o voi che siete chiamati a districarvi nella selva delle disposizioni di legge della nazione tribale chiamata Italia, dite: gli è possibile essere frì-lens senza per obbligo aprire la detestata partita IVA?
Gli è possibile raggranellare qualche euro, nelle pieghe della camicia di forza contributiva, evitando libri mastri, anticipi e posticipi, valori aggiunti (e mai sottratti?).
Lo chiedo con la debita umiltà perché, con il progredire della malattia mortale della critica indipendente, si deve raschiare il fondo del barile. La critica indipendente è difatti moribonda, o quasi. Occorre riconoscere la cruda verità. Nessuno più butta soldi in un affare in perdita: scrivere di qualsiasi cosa – di vino, per dire – privi di contropartite, cointeressenze, legami più o meno grigiastri con chi produce, smercia, distribuisce sul mercato.
La critica è ormai – e forse da tempo – un prodotto qualsiasi. Come una lavatrice, un tappeto, un aspirapolvere. E come tale viene considerata.
Rinnovo la domanda, quindi: si può evitare l’orrida partita IVA e contemporaneamente essere puri davanti al braccio armato della legge?
Grazie fin d’ora.