Di Gae Saccoccio
Terra tremat baratrumque metu sibi cagat addossum..
(Baldus/Merlin Cocai/Teofilo Folengo)
La trama dei tempi è quel che è, si sa!
Un’epoca in cui ci si ricorda di noi e noi altrettanto d’altri per la notifica su Twitter, il like cazzeggiante su Facebook, lo scatto fetish del cappuccino a latte vegetale all’ultimo fèscion in Instagram.
Parteciparne è disdicevole certo, ma ancor più sciocco è l’ostinarsi a credere di starne – crederne di star – fuori. Ogni nostro sfogo, gesto, balbettio, ogni solletico verbale e brividino masturbeccio viene inciso sul palinsesto etereo della Rete erogena. Web tappeto Persian-digital-terrestre intessuto del tempomorto quotidiano d’ognuno di quei nostri clic d’artereosclerotici Digital Being che non siamo altro (ma che niente niente qualcuno si ricorda ancora quel fessacchiotto perso di Nicholas Negroponte?)
Figli di un Hashtag minore. Ruttini d’aforismi. Cut-up informatici ma pur sempre disinformati. Taglia e cuci d’Emoticons, iconcini laconici e altri simboli del Pandemonio in WI-FI che dal primo all’ultimo simboleggiano tutti un solo Vuoto Pneumatico Globale che ben se ne sta sopra, sotto, fuori e dentro noi, così pure come noi ce ne stiamo dentro, fuori, sotto e sopra lui… al VPG dico.
Giochiamo cioè tutti a fare i Padreterni del wireless, i Budda del roaming, gl’Allah dell’ADSL. Ce la meniamo tanto, patetici, quali Motori di Ricerca Immobili d’una creazione che in verità ha a malapena creato noi. Noi: secrezioni epidermiche, sputi d’ombre in fiamme su pareti Micragnosoft virtuali. Noi che dopo tanti secoli ce ne stiamo tuttora smarriti nell’ambito del cavernoso mito di Platone (e quando ne usciremo mai?), aggiornato però in formato software. Costolette adamitiche ecco cos’è che siamo, costatelle d’Eva lasciate bruciare sulla griglia della Storia che è sempre contemporanea come blaterava quel, si proprio quel scorreggione di testa che fu Croce: Benedetto per molti, Maledetto a tanti altri.
Davvero un’età caco-, meglio, un’età caca-fonica! Un’era devitalizzata ‘sta qua! Spoeticizzata, de-epicizzata alla radice ch’era forse chissà già cartaconosciuta, acquamarcia pure ai tempi di Gilgamesh, d’Ulisse, d’Orfeo o d’Enea brutti in culo, stocca-fessi d’eroi cantati a voce falsetta da interi popoli dementi stornellatori. Folle matte di bacucchi ‘mbriaconi, cori tragigrotteschi massificati a suon d’Epos d’Eros d’Ethos e Thanatos.
Al piede franco dell’Aristotelica “maraviglia” tutti noi ectoplasmi eiaculatori protocellulari, c’abbiamo bello che innestato su degl’orgasmini polpastrellari germoglianti su tastiere Youporn in fase downolad; pròtesi genitali-oculari su miliardi di schermetti evolutivi PornHub in upload. Dunque eccoci qua dalla cacciata d’Eden all’ombra computerizzata d’un’altra mela – o piuttosto un sorbo, un ficosecco a dar retta a certi insigni teologonanisti agronomeggianti (agronomisti teologali onanisteggianti) – proprio una minchia di meletta insomma, moccicata alla cazza dall’hungry e foolish Stev-Eva Jobs.
Cercatori di verità non nostre questo solo siamo alla fin fine! Cercatori d’oro sperduti lungo un fiume illusorio in piena ma senz’acqua punto figurarsi l’oro. Un fiume la cui sorgente non è che Vallata di Silicone, proprio un bel cazzo di Paradiso Terrestre coltivato a microcippe, a files segreti in pubblico. Proprio un bel merda d’Eden ritrovato dove esercitare questa nostra poveraccia vita social odierna finto-comunicativa, zero-eterna, bio-tecnologizzata.
“L’inferno sono gl’altri” filosofeggiava così biascicando un po’ fino alla Nausea lo strabicone maître-à-penser pelorosso. Già, figurati ora quanto inferno s’è accumulato canceroso, moltiplicato alla miliardesima impotenza in questa Irrealtà che È un Nulla di singole vuotezze. Specchi-desktop rotti che riflettono tutto intero il nudo verme loffio d’uomo-donna-iphone-merdesco strafatto di polvere, bava, sanguinacci e inferni altrui: “sperma fetidum saccus stercorum, cibus vermium” per stare all’allegrissima visione antropologica del Bernardo Santo.
Scatole di cellophane cinese insomma l’una in dentro all’altra e così a catena d’infernaggio a formare una galassia Gutenberg di parole al vapore acqueo fituso. Messaggini, chat, WhatsApp, post, commenti fondamentali ad altri commenti superflui, buchi neri, linguaggi infantili glossolalici che risucchiano se stessi come pare – altro falso mito ginnasiale – succhiavasi da sé, ingordone, il Gabriele dannunziesco nazionale. Ultrapipparolo, estirpato di qualche costola a tal cimento pare, non bastandogli di già tutto quel patriottardo masturbamento futtuto in versi, contro-versi e prosepopee (ebbene sì: Prose e Popee) che a distanza d’un quasisecolo ancora spiattellano e trasudano retorici dalla sua Opera Omnia d’orbaccio aviatore. Il Vate Vittoriale degli ‘taliani malgrado Lui, bontà Sua, è stato pure un profeta e precursore oratorio ante litteram dell’Internet Orinatoio attuale che ci ritroviamo noi oggi.
Vero, basta raccattare un Suo solo titolo-cliché per dare il sistema tonale del nostro sfinito presente. Sì, proprio un gran titolo da plagiari estirpato al Seneca meno depresso (pensa un po’!), istigatore al suicidio in massa hic et nunc a connessione spenta, accesa o in standby del server e comunque valido per ogni sistema operativo utilizzato: Contemplazione della Morte.
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