di Raffaella Guidi Federzoni
Capitolo III – In qualche modo bisogna pur continuare
A questo punto le bobine smisero di girare e il registratore si spense. Morto. Defunto. Inutile qualsiasi tentativo di rianimazione.
Panico.
Spaesamento.
Vergogna.
Lo sbobinamento non era nemmeno arrivato a metà e per causa decrepitudine del registratore la testimonianza diretta di Nello Baricci si era spenta per sempre.
Fortunatamente restava la memoria, non solo quella dell’ascoltato ma anche quella del “sentito”. Nel senso che le parole essenziali, proferite con voce flebile e chiara da un uomo vissuto per quasi un secolo, si sono collocate con naturalezza al centro di un quadro complesso dal titolo “Il vino di Nello, mio e di tutto un mondo”.
Così, adesso che è il periodo di Natale e che sono passati anni da quel particolare pomeriggio agostano, mi accingo serenamente a continuare, passando dal reportage alla narrazione.
In tutte le risposte il mio amico aveva continuato a dimostrare una finezza e un intuito speciali. Nello non si era mai voluto avventurare in acquisti al di fuori delle sue possibilità, non solo economiche ma proprio geografiche. Lui sapeva che a Montosoli il vino veniva bòno e che da vigne collocate altrove non sarebbe stato capace di farlo così, per cui si era tenuto i suoi ettari senza ambizioni di espansione.
La consapevolezza dei propri limiti e la quieta fierezza di ciò, ditemi se questo non è un uomo nell’accezione nobile del termine.
Le sue tecniche di vinificazione sono sempre state ridotte al minimo, cantina pulita con finestre da aprire e chiudere per il controllo della temperatura e botti tenute meticolosamente perché fino a tempi recenti non c’erano soldi per comprarne nuove. La condizione fondamentale era, è, e sarà, la qualità dell’uva che arrivava in cantina. Da questa sarebbe dipeso il risultato. Una volta che il vino era pronto bastava assaggiarlo prima dell’imbottigliamento.
C’è sempre stato un consulente esterno per il Colombaio di Montosoli, direi “molto” esterno, tanto alla fine il vino si faceva come voleva Nello.
Nessuno è eterno però, o dotato di super poteri, e questo un uomo di campagna lo sa benissimo. Per quella mentalità, la famiglia è uno strumento di lavoro indispensabile per far le cose per bene. Ognuno al suo posto e ognuno contribuisce.
I figli Graziano e Graziella, insieme al genero Pietro, si sono dedicati e si dedicano all’azienda da sempre. Affiancati già da un po’ da Federico e Francesco, i nipoti.
Già, i nipoti: “Sono ancora più pignoli di me!”, ha proclamato fiero il nonno Nello.
Tornando vino, ma tenendo presente in un angolo della memoria proprio i nipoti, quello del Baricci ha raggiunto regolarmente punte eccelse di succulenza, bevibilità, piacevolezza e carattere nell’espressione del Rosso di Montalcino. Mentre come Brunello in passato poteva mostrare qualche imprecisione, delle sfocature nella tenuta. Adesso non è più così, le ultime annate mostrano un polso sicurissimo, il vino è perfettamente centrato come equilibrio, aromi, eleganza di struttura e finezza di trama. Non c’è niente di rustico nel Brunello del Baricci, né di approssimativo, né di fintamente semplice. C’è tutta la complessità stratificata di un luogo, un vitigno e tre generazioni di interpreti.
A me piace quando un vino si presenta così, senza orpelli, senza barocchismi, senza eccessi, ma con le ali ampie e il profilo austero di un’aquila reale.
Nello, ma tu bevi altro o solo sangiovese?
No, mi piacciono anche altri vini, diamine!
Mi puoi dire quali? Anche solo qualcuno dei vini che ti sono piaciuti, che ti ricordi, che non erano sangiovese?
……Mah, no, mi ricordo solo il sangiovese.
Capitolo IV – Buono e giusto finire cosi
“La forma si può cambiare se ciò garantisce la conservazione della sostanza”*.
Nello ha compiuto nel 2016 novantacinque anni. Il suo fratello di latte Franco Biondi Santi (i due hanno condiviso il pocciamento dal seno della fu signora Baricci) ha lasciato questa vita terrena più di due anni fa. Cambiato è il clima, cambiato è il mercato, cambiate sono diverse proprietà.
Sono arrivati in tanti, ma qualcuno ha venduto e si è levato di giro.
Chi è rimasto ha passato il testimone ad una nuova generazione. Sono loro il presente ed il futuro di Montalcino. Potrei citarne parecchi, rischierei però di allungare il mio scritto con una lista fin troppo lunga.
Mi bastano come esempio i due nomi riportati qualche riga sopra: Federico e Francesco Buffi, nipoti del mitico “Bariccia”.
I due ragazzi sono più che in gamba, hanno lavorato sodo, hanno studiato, hanno viaggiato. Continuano a fare tutto questo e a farlo bene. A loro si deve l’impronta qualitativa del vino del Colombaio di Montosoli di oggi. Il vino è sempre lo stesso nella sostanza, anche se migliorato ed adeguato al presente. Sono fortunati ad avere quei cromosomi lì e sono bravi ad impegnarsi.
Nel 1967 nacque il Consorzio del Brunello di Montalcino, una libera associazione di produttori di estrazione sociale diversa, ma di vedute simili per cosa e come fare relativamente al vino di quel territorio. Sono passati quasi cinquant’anni, nonostante diversi scossoni, la sostanza è rimasta.
Il primo firmatario – come avete letto nella prima parte del post – fu Nello Baricci, quel signore che ogni tanto compare ancora al Colombaio di Montosoli, che si siede e guarda le vigne.
Le sue.
*Citazione/mantra di Stefano Cinelli Colombini – Fattoria dei Barbi, Montalcino.
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