Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia

di Raffaella Guidi Federzoni

L’ultima volta che ho pensato “stronza!” di una donna è successo di recente, quando un’affascinante signora indiana, proprietaria e conduttrice di un ristorante italiano sito nella zona ricca di una ricca città americana del South West, alla mia domanda “Cosa cerca nel Rosso di Montalcino?” mi ha risposto “Brunello” con un radioso sorriso di scusa.

La signora sì che se ne intende, non è una novellina, ha un palato raffinato e ben educato. La signora compra ed apprezza il mio vino, per questo mi trovavo lì, per farle assaggiare le nuove annate appena arrivate su piazza.

La signora però è vittima di un vizio diffuso, che potrei definire “brunellismo”. Trattasi di virus, più che vizio. Chi ne viene contagiato comincia a considerare desiderabili, acquistabili e poi vendibili, solo rossi di un certo spessore, strutturati e complessi, trascurando altri esempi produttivi più snelli, bevibili e sopportabili anche economicamente. I vini della seconda categoria sono ritenuti di sere B, sic et simpliciter.

Naturalmente noi produttori siamo ben felici di piazzare in maggioranza vini più costosi, vini che oramai sono conosciuti in tutto il mondo all’interno di quello che, purtroppo, è diventato un marchio: Brunello.

Noi produttori siamo però anche onesti con noi stessi e con le vendemmie, da tempo sappiamo che non tutto ciò che è vitato può produrre anno dopo anno un vino destinato a diventare un vino importante, impegnativo, capace di invecchiare a lungo dopo aver passato mesi e mesi in botti di rovere senza esserne sfibrato.

Noi produttori siamo in grado di compiere una distinzione e scegliere di vendere anche solo dopo un anno dalla vendemmia un rosso da uve sangiovese che abbia nel suo essere tutta l’energia della giovinezza, la succulenza, la vivacità, la piacevolezza di un’età che ha fretta di mostrarsi senza pensare troppo a quel che avverrà negli anni.
La vendita del Rosso di Montalcino è un’àncora di salvezza per fare entrare un po’ di quattrini con più regolarità, e per ottenere il meglio anche da vendemmie difficili in cui il futuro del Brunello è dubbioso, anche mediaticamente.

Noi produttori.

Beh, insomma, almeno ci proviamo a fare quanto sopra scritto. Remiamo però contro un destino avverso, del quale anche noi siamo colpevoli. Se non noi, i nostri genitori o nonni, intesi questi con chi ha cominciato un paio di generazioni fa e anche più indietro, a diffondere la fama del Brunello.

Brunello, appunto, non Montalcino.

Sono due parole legate ma che hanno un impatto diverso.

La prima significa ormai “vino eccellente e costoso” la seconda è solo un di più, viene spesso tralasciata .

Quanto sopra si è palesato in modo lampante durante una presentazione delle due tipologie, organizzata a Calgary, Alberta-Canada, dal consorzio del Brunello di Montalcino (esiste anche quello del Rosso di Montalcino, formato dalle stesse persone, ma non se lo fila nessuno). Intorno al tavolo conviviale la conversazione si è presto scaldata, almeno la MIA conversazione, perché una giornalista ha giustamente fatto notare che il vino più giovane di Montalcino aveva meno appeal in quanto chiamato comunemente “Rosso” e questo equivale ad una confusione bordeggiante con l’anonimato. Ci sono talmente tanti vini denominati “Rosso” in Italia! Un nome tanto comune quanto il cognome “Rossi” per intenderci.

E Montalcino? Perbacco, Montalcino!

Niente da fare, quel che rimane nella memoria collettiva e nelle note di degustazione è “Brunello”, il posto dove si fa non importa.

C’è chi si adopra per codificare le sottozone di produzione relative al nostro comune e nel frattempo la macrozona di Montalcino cade nell’oblio una volta che le bottiglie sono sugli scaffali, uccisa dal colpevole termine “Brunello”.

E mica siamo in Borgogna signori miei!

Cosicché, trovatami di fronte alla fascinosa signora indiana, ho inghiottito l’incipit di cui sopra e con il mio più cortese inglese ho cercato di spiegarle che il Rosso di Montalcino non è un “quasi Brunello” bensì un vino con una sua dignità ed autonomia. Ho cercato di far entrare in quella bella testolina sorridente l’idea che esiste una gioventù anche nel vino, un momento di gioiosa incoscienza, di frutto generoso e scalpitante, di sorso irresponsabile. Esiste e si chiama Rosso di Montalcino.

La signora, granitica nel suo sorriso, mi ha confermato un bell’ordine per il Brunello, per il Rosso ci penserà. Dietro a lei, in piedi, troneggiava il maturo marito silente, nemmeno tanto ben strutturato. Ho preso nota, ringraziato e sono uscita con un leggero senso di scoramento.

Tutti noi amiamo la giovinezza, tuttavia in molti la sfuggono.

Così in tanti si perdono quel tocco di leggerezza balsamica e primaverile che un giovane sangiovese di queste parti può regalare. Poi sbavano per qualche ninfetta o bel giovanottino tonico.
Mah!

One Comment to “Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia”

  1. Come un morellino di : una lacrima di Morro d’ : ma se per molti di noi gli USA sono ancora l’America, per la gran parte degli americani Montalcino è il Brunello.

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