di Raffaella Guidi Federzoni
Alla fine delle fini la guerra delle guerre la vince Penelope. Una donna paziente che sembra non combini nulla a parte fare e disfare una tela, oltre a smarcarsi dagli uomini, tirare su un figlio da single e mantenere un regno in attesa che torni quel pisellone cazzuto di Ulisse.
In realtà è una guerriera, lo è perché è una donna, ed io non conosco alcuna donna che non sia una guerriera, nei racconti e nella vita.
Questo pensiero mi gira attorno già da un po’, ha iniziato a mostrarsi per motivi personali che non fregano a nessuno ed anche a me in fondo interessano poco.
Quel che conta è che più ci penso e più me ne convinco.
La scintilla guerriera fa parte della donna, anche se lei non lo sa.
Si tratta di una cellula, un atomo, un granello di polvere luminosa che regge tutta la costruzione della personalità femminile.
Si tratta di guerreggiare non per vincere, ma per esistere.
A questo punto ho intrigato buona parte delle mie diciotto lettrici che stanno forse pensando “uhm, magari ha ragione lei”.
Certo che ho ragione amiche e sorelle, pensateci.
Voi vignaiole che decidete quando vendemmiare, quando travasare. Voi che armate di forbice andate in vigna a potare.
Voi ambasciatrici che trascinate valige verso viaggi della speranza. Voi che oscillate su scarpette inadatte e versate, sorridete, spiegate in una lingua straniera.
Voi che vestite da pinguine scivolate fluide fra i tavoli, consigliate, stappate, assaggiate.
Cosa c’è di diverso in questi vostri gesti dagli equivalenti gesti maschili?
C’è la quieta scintilla che voi avete e loro no. Essi hanno forza, energia, volontà di successo, ma non hanno il dono che voi avete. La scintilla che consiste nel continuare, continuare e poi continuare. Farlo sapendo che sì, si è in grado di farlo.
Per questo il più delle volte si funziona meglio insieme, noi e loro in pace ed anche in guerra.
Peccato esserne scarsamente consapevoli, anche se la percezione del mondo femminile e del suo potenziale sta cambiando.
Conosco tante donne guerriere perché conosco tante donne, sono contenta del giusto spazio che si stanno prendendo, senza nemmeno fare troppo rumore.
Sarà bello un giorno non considerare il sesso del facitore di un vino, solo il risultato.
Rimane però una camera ancora da riempire, una serie di seggiole su cui sedersi accavallando le gambe. Rimane un luogo mentale che per ora si presenta come una porta socchiusa.
Rimane lo spazio narrativo, qui nel nostro paesello italico ed enoico. Per amor della verità, non mi sembra che ci sia un granché da pascolare nel campo della letteratura di settore. Ci sono tanti nani e pochi giganti, ancor meno ballerine. Ci sono pochi soldi, veramente pochi, per gratificare la ricerca, lo studio ed il tempo perso per crearsi un mestiere di scrittore specializzato.
Questo è un problema unisex, per il quale non ho soluzione.
Ho invece un consiglio, un invito, un incitamento per le timide ed insicure guerriere che faticosamente continuano a combattere con le tastiere.
Ci sono parole scritte nei secoli che non hanno avuto bisogno di rivelare la fonte per diventare immortali. Insieme ad Alceo c’è stata Saffo.
Non faccio statistiche né mi interessa definire il femminile o il maschile nella scrittura. A me piace la scintilla guerriera che avverto quando leggo Margaret Atwood o Matilde Serao, Virginia Woolf o Elsa Morante.
Sarà un bel giorno quando nemmeno ci si chiederà chi è che ha scritto bene qualcosa riguardo al vino, non una volta sola, ma continuativamente.
Perché o si scrive bene o no.