di Raffaella Guidi Federzoni
“La tenerezza, quando è autentica, non sopporta facili definizioni: si insinua con delicata tenacia nelle pieghe della nostra esperienza, ma senza l’esplicitezza delle grandi virtù civili.”*
Nel sobborgo residenziale a ridosso della cittadina toscana autodefinita persino “città del miele”, proprio nel punto più alto, abito io. In verità ci sto molto poco perché arrivo, svuoto la valigia, la riempio di nuovo e poi riparto. Questo avviene ai bordi di una strada chiamata via Albergheria. Ne scrivo qui proprio per via del nome che definisce la mia condizione umana recente: costretta a soggiornare in alberghi.
Ultimamente tale condizione è peggiorata, gli alberghi si sono distinti per inospitalità: babeli accanto ad aeroporti, rumorosi e dalla pavimentazione psichedelica. Seminterrati vicino a stazioni, puzzolenti di umidità e chiusi da cancelli o porte blindate a causa del suk poco raccomandabile e per niente pittoresco, situato giusto al di fuori.
Di nuovo nel giro di pochi giorni mi sono adeguata a lingue diverse, climi diversi, irritazioni diverse. Il tutto unito dalla stessa crescente avversione per il genere umano.
Sono sopravvissuta come sempre grazie ad alcuni accorgimenti che ho sperimentato nel corso degli anni:
- dormire spesso, anche solo cinque minuti, anche in piedi appoggiata ad un muro o alla valigia mentre sono in fila per l’ennesima volta. Chiudere gli occhi e dimenticare.
- mangiare poco cibo spazzatura, ma mangiarlo. Il valore intrinseco delle french fries o delle spicy chicken wings come bacchette magiche per una visione della vita più ottimista è ancora poco compreso.
- non guardarmi allo specchio, evitare la visione di me, la parte peggiore di ME.
- leggere il libro giusto.
L’ultima voce del mio personale manuale di sopravvivenze è la più complessa, importante e prolungata. Senza un libro dalla storia intrigante e le parole adatte per raccontarla, non sarei una viaggiatrice curiosa, seppure cronicamente stanca, sarei stanca e basta.
Le mie letture sono onnivore, unite dalla scorrevolezza e dalla leggerezza, che non significano superficialità, bensì il suo contrario: capacità di comunicare qualcosa di unico e profondo, il senso della vita e del suo ritmico svolgersi, senza noia. Anzi “Se il ritmo viene prima del senso, spesso c’è più gusto, in poesia come anche nel vino.”*
Così è anche per la mia attuale lettura: iniziata nella cavern… ehm, camera numero 12 di una struttura alberghiera presuntuosamente definita “resort”. Uno spazio molto simile ad una basso napoletano. Lì mi sono isolata dalla miseria olezzante e buia grazie a parole ironiche come queste:
“La ricerca dell’illuminazione riveste un’importanza centrale nell’esperienza umana: nei paesi occidentali consiste soprattutto nel lottare con le compagnie fornitrici di energia elettrica per non farsi fregare in bolletta. In Oriente è concetto più metafisico e riguarda il percorso individuale da soggetto egoriferito a persona illuminata e perciò serena e risolta. “*
Ho continuato a cambiare letto e città sostenuta da rivelazioni folgoranti come “Quando il gioco si fa duro, i rossisti cominciano a biancheggiare.”*
Ho approfittato dell’insonnia per andare avanti su sentieri puliti dalle frasche di linguaggi intortati leggendo frasi dritte e snelle, tipo: “Dovette pentirsene qualche anno dopo, quando il colpo sulla nuca inferto da un cuoco molisano lo rese demente e del tutto incapace di distinguere una Tintilia da un Rum giamaicano.”*
Adesso mi trovo adagiata in un lettone spazioso e pieno di cuscini. Così spazioso che riesco a leggere sul lato sinistro e a scrivere su quello destro. Nella parte settentrionale del continente americano l’orripilanza delle moquettes viene equilibrata dalla comodità dei materassi. Peccato che proprio di fronte stiano rifacendo la facciata di un palazzo, lavorando venticinque ore su ventiquattro.
Con la finestra chiusa e l’impianto di riscaldamento/raffreddamento spento concludo la lettura di un libro che mi ha risollevato dalle asprezze di queste ultime settimane come il suono di un’armonica ben modulata**.
Certo, si tratta di un volume nemmeno troppo corposo che parla di vino, quindi potrebbe interessare solo un pubblico ristretto. Non c’è sesso, non c’è violenza, non so nemmeno se ci sia davvero un happy ending.
C’è però la scrittura, c’è una lingua italiana fioccante senza orpelli. C’è la bellezza dell’intelligenza donataci dalla capacità dei tre autori, i quali non si prendono mai completamente sul serio, pur essendo serissimi nelle loro motivazioni: “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.” Non sappiamo se Montale bevesse…Se oltre che un grande poeta fosse stato un buon bevitore avrebbe dedicato questi versi ai vini da sgranocchiare, ai vini viscosi come un lubrificante per moto, ai vini aridi e asciuganti come un boccone di terra del deserto algerino: proprio quella più riarsa, nella parte sudoccidentale, che confina con le alture dei monti Tassili n’Ajjer. E noi, idealmente con lui, scriviamo questo libro per dire ciò che non siamo: bevitori dell’imbevibile.
Per cui il “potrebbe interessare…” si trasforma da condizionale in indicativo, non solo, si amplifica fino a comprendere nel possibile interesse chiunque voglia capire come un linguaggio nobile venga espresso con la leggerezza e la semplicità di quel poco di autentico che rimane della vita.
*Cit. da “Vini da scoprire – La riscossa dei vini leggeri” di Castagno/Gravina/Rizzari. Edizioni Giunti – Pag. 253 – 20 euro.
** La stesura di tale post ha avuto come colonna sonora la quasi opera omnia di Van Morrison.