Alla ricerca della motivazione perduta

di Raffaella Guidi Federzoni

I nostri genitori avevano la fame, noi avevamo la rabbia, i nostri figli non so.
Noi Baby Boomers, nati in un relativo benessere all’interno di un sistema politico occidentale basato sul bianco e nero, buoni e cattivi. Noi con una capacità di spesa superiore a quella della generazione precedente. Noi, impegnati a mandare affanculo chi pensava di insegnarci a vivere e pensare come era già avvenuto.

Noi, poetici, illusi e arrabbiati. Noi che in qualche modo l’abbiamo sfangata con gli ideali a metà, abbiamo scavallato un paio di “gap(s)” generazionali con disinvoltura.
Noi che stiamo andando in pensione rimettendoci in pista sui social e nemmeno ce la caviamo così male.
Noi, che forse ogni tanto interroghiamo un immaginario giovane interlocutore come fa il personaggio di una serie made in USA* “Dimmi, cosa significa far parte della prima generazione di questo paese che non ha uno scopo?”* .

O forse invece non interroghiamo nessuno, nemmeno noi stessi, perché Noi ne abbiamo abbastanza le palle piene dei conflitti generazionali, ci basta riuscire ad andare avanti nella vita con un seppur minima soddisfazione ed una seppur microscopica motivazione.

Mi rendo conto di essermi incartata nel pluralis maiestatis. Faccio finta di nulla e da qui in avanti trasformo il NOI in IO.
Qui in Accademia posso questo ed altro.

Dov’ero rimasta? Ah, alla generazione senza motivazione.
Non è che sia proprio così deprimente, soprattutto nella mia esperienza pluritrentennale di sherpa vinoso.

Appunto nel circolo enoico che frequento da più di trent’anni ho trovato e trovo in parte una risposta al dubbio che non ci sia più una forte motivazione dell’agire e del pensare, dai Baby Boomers, passando per la Generation X fino ai Millennials.

Perché continuo a conoscere ed interloquire con persone motivate nel fare vino, nonostante le mille difficoltà economiche, burocratiche, promozionali, che questo comporta.
Ci sono giovani, semigiovani e giovanissimi impegnati ogni giorno a costruirsi un presente ed un futuro rappresentato da vigna, cantina e bottiglie.
Esistono ed operano umani ambosex convinti che ciò sia la strada da percorrere, quella della campagna, del luogo che li vede residenti.
Alcuni arrivano ad impegnarsi non solo per loro stessi e per la propria azienda, ma anche affinché vengano riconosciuti un vitigno, una denominazione, un’associazione.

Tutto questo più che poesia è prosa prosaica. Ci sono litigi, frizioni, sbagli, eccessi, piccoli dispetti ed invidie. Siamo tutti umani e fallaci.
Rimane però una forte motivazione ed è questa che io ammiro.
Una motivazione dettata dall’orgoglio di una scelta coraggiosa, perché produrre vino sul serio, vendemmia dopo vendemmia, non è solo un “atto agricolo”- termine che mi fa un poco raggricciare le dita dei piedi – è un atto di coraggio.
Il presente è difficile ed il futuro incerto.

Nel circoletto della parrocchietta enoica ci si dibatte su temi come “bio o non bio”, “naturale che vordì?” o riguardo a classifiche da serie A,B,C.
Il nocciolo duro dell’argomento per me non è proprio questo, bensì è l’essere umano, il facitore, colui o colei che sceglie e persevera.
Mi auguro che la motivazione non venga spenta con una doccia fredda di cavilli, mutui impagabili, discorsi sterili, mode transitorie.

Mi auguro che rimanga e cresca una generazione trasversale convinta della propria scelta e più aiutata nell’attuarla.
Mi auguro di continuare a bere il frutto di un impegno che non è solo fisico, ma esistenziale.
Magari anche di continuare a scriverne.

  • “When we rise” una miniserie che racconta le varie tappe della lotta per l’emancipazione ed il riconoscimento civile degli omosessuali negli USA.

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