di Shameless
“Le porte stanno per aprirsi/Le porte stanno per chiudersi”
“Doors are opening/ Doors are closing”
Anni fa rientrai da una calda notte asiatica, calda nel senso di temperatura, non di libidine, sebbene il vino da me presentato si sarebbe potuto prestare come catalizzatore per uno scatenamento dei sensi, quei sensi raggruppati in uno solo chiamato forza vitale che muove il mondo e le sue cose, cioè l’erotismo*.
Rientravo ed ero stanca ma con la testa leggera. Rientravo in albergo alla fine di un itinerario faticoso, o forse era all’inizio. Non ha importanza.
Quel che importa è l’ascensore.
Dove risiedo fra un viaggio e l’altro gli ascensori scarseggiano, se ne trova qualcuno dentro edifici pubblici, ma nelle abitazioni private mancano. Dalle nostre parti si va su e giù per le scale.
Quando invece mi muovo nel mondo, nord-sud-est-ovest, lo faccio in una qualsiasi scatola che di solito ha numeri o sigle sulle pareti, accanto alle porte.
Porte scorrevoli.
Non si tratta di quei bellissimi ascensori alti e stretti dei palazzi italici. Quelli con le doppie porte da aprire con la maniglia, quelli che fai molto prima ad andare a piedi su per scale di marmo, ma il salire lento ti predispone alla visita che ti aspetta.
Gli ascensori degli alberghi sono globalmente impersonali, così come lo sono coloro che vi entrano ed escono. Delle non-persone, ognuna per i fatti suoi o nel suo ristretto nucleo familiare.
Non guardare, non guardare. Occhi bassi o molto alti ed appena un accenno di un cortese sorriso. Il più vicino alla tastiera schiaccia il numero giusto anche per gli altri, poi si appiccica contro la parete.
Non guardare, non guardare. Non guardare gli altri, altrimenti sarai risucchiata nella loro vita, dovrai viverla per qualche piano, forse fino al venticinquesimo e oltre. Non commentare, non commentare, anche se dicono cazzate pensando che tu non parli la loro lingua.
Entra, esci, e non guardare.
Anni fa non fu così.
Rientrai dopo la mezzanotte, Cenerentola ancora vestita da festa, con entrambe le scarpette dal tacco alto ed il cinturino contornante i malleoli. Le calze erano più da strega che da fata: nere, velate e con un diabolico lucchetto disegnato da brillantini proprio sopra la caviglia sinistra.
Le calze con il lucchetto di strass.
Le porte si aprirono, entrai.
Qualcun altro entrò all’ultimo istante, proprio mentre le porte stavano per chiudersi.
Dal piano terra al secondo piano: silenzio leggero da dopo teatro, silenzio da Champagne.
Dal secondo piano al terzo: “I like your stockings!” una voce maschia e vellutata con una pronunciata inflessione francese. Una voce da Rive Gauche, una voce da Vintage Port.
Dal terzo piano al quarto: un sorriso invitante, tentatore senza strafare, un sorriso con le rughette intorno agli occhi. Un sorriso da ostriche e Muscadet.
Dal quarto piano al sesto: silenzio in sospensione, silenzio di apnea. Un silenzio da Cattedrale, un silenzio da Hermitage Rouge.
Dal sesto piano al settimo: “Thank you”, la mia voce bassa, fumosa e strascicata. Una voce in bianco e nero, una voce da Single Malt triple cask matured for a minimum of 21 years.
Dal settimo piano al dodicesimo: il silenzio di due adulti, lui francese, lei italiana, si parlano in inglese, la notte è calda e asiatica. Lei ha un lucchetto di strass sopra la caviglia sinistra, lui indossa le rughette intorno agli occhi con nonchalance. Sono liberi, soli e stranieri. Hanno bevuto, hanno fumato, ma non sono stanchi. Una trama risaputa, sognata, intrigante. Una trama da Cognac XO Gold.
Dodicesimo piano, il mio: le porte stanno per aprirsi, si aprono: “Good night” dico e non guardo, non guardo. Un non-sguardo da Guinnes dei primati, da Muro di Berlino, da filo spinato e controllo passaporto rigoroso. Un non-sguardo da Super Tuscan anni ottanta.
La storia finisce qui con un “good night” distante negli anni.
Per ora e per me.
Fino al prossimo scorrimento.
*Ho scritto di proposito “erotismo” e non “sesso” perché mentre il secondo termine indica l’atto dell’accoppiamento animale e fisico, nelle sue varie declinazioni di piacevolezza, il primo sintetizza la complessità dell’accoppiamento anche mentale degli esseri umani e la sua forza propulsiva che travalica età, animalità e convenzioni estetiche.