Zio Paperone e il vino retrogrado

di Fabio Rizzari

Alla passione per i titoli in genere affianco la passione specifica per i titoli dei Topolino editi nel nostro paese negli anni 60 e 70. Gli autori e disegnatori italici dell’epoca (Martina, Carpi, Scarpa, etc) avevano un gusto particolare per i giochi di parole (l’esploratore artico Paolo Nord, il critico letterario francese Georges Pourparler, l’antiquario Nataniele Ragnatele, il bandito Max Nadier) e per i titoli evocativi: Zio Paperino e l’ametista mai vista, Paperino e le ventimila beghe sotto i mari, Zio Paperone e il leon donato, eccetera.

L’esperienza stappatoria di pochi giorni fa mi ha riportato a quelle letture del tutto degne. Senza particolare studio dello scaffale – meditazione sofferta che riservo alle occasioni importanti – ho prelevato e aperto un Barbaresco Borgogno del 1952: non certo perché abbia una collezione tanto ricca da potermi permettere flaconi rari con tanta nonchalanche, ma perché il buon Giovanni Bietti, che me l’ha gentilissimamente regalata, mi ha più volte sollecitato a non indugiare oltre nell’aprirla.

Il vino, peraltro a conti fatti assai buono, ha tenuto un comportamento bizzarro. Appena versato nel bicchiere si è offerto con generosa ampiezza e chiarezza d’esposizione, contrariamente a quanto capita nella stragrande maggioranza dei casi aprendo una bottiglia tanto datata: un sottobosco accennato, su base di frutta candita (scorza d’arancio candita) e delicate note di fiori appassiti (rosa appassita). Anche al gusto espressivo, leggibile, scorreva a meraviglia e finiva con un delicato tono fungino e un ancor più leggero sentore di noci, a segnalarne la controllata ossidazione.

Incoraggiato da tali evidenze, il giorno dopo sono corso a berne un paio d’altri bicchieri. Con mia sorpresa il vino si era chiuso a riccio; e scrivo chiuso a riccio, non ossidato. I toni ossidativi erano scomparsi, così come quelli floreali e fruttati. Al loro posto, la configurazione che avrei dovuto trovare alla stappatura: note di forte riduzione, credenza chiusa, capocchia di fiammifero bruciata, bocca rigida, austera, dai tannini molto severi. Un percorso retrogrado.

Come gli amanti del vino sanno fin troppo bene, ammantando questa evidenza con strati di retorica stucchevole, “il vino è una materia vivente”, “il vino vero è imprevedibile, spiazza e confonde”.
Retorica o no, è proprio così.

 

4 commenti to “Zio Paperone e il vino retrogrado”

  1. gentilissimo Fabio, scopro gli Alterati solo ora, grazie a Raffaella Guidi Federzoni. Dal tuo articolo estraggo “un sottobosco accennato, su base di frutta candita (scorza d’arancio candita) e delicate note di fiori appassiti (rosa appassita). Anche al gusto espressivo, leggibile, scorreva a meraviglia e finiva con un delicato tono fungino e un ancor più leggero sentore di noci, a segnalarne la controllata ossidazione”. Perfetto. Senza polemica, ma è una cosa che mi chiedo da tempo: è davvero l’unico modo di raccontare un vino? Probabilmente è il più immediato ed efficace, ma pensavo ad una sorta di espressioni talmente omologate che potrebbero correre il rischio di non comunicare più nulla. Certamente sbaglierò o evocherò un tema inesistente. Me ne scuso prima. Con viva stima.

    • Ovviamente per me quelle note non sono generiche e omologate, sono semplicemente note utili per capire a grandi linee di cosa sa un determinato vino. Generiche e omologate sono espressioni quali “caratteristico, gradevole, secco” e simili. Altrettanto inefficaci e piatte sono le litanie di analogie – frutti di bosco, grafite, menta, latte fresco e simili – che taluni propongono senza però far capire al lettore di che cavolo di vino si tratti: se sia magro o grasso, giovane o maturo, tannico o allentato, strutturato o diluito, ridotto o aperto, eccetera.
      Non perché l’ho scritto io, ma il tratteggio del suddetto vino credo ne faccia intuire abbastanza bene al lettore la silhouette. Sulla base di quella descrizione non ci si può aspettare un rosso giovane, né un rosso fruttato, né un rosso semplice sul piano aromatico.
      Non bisogna confondere il comprensibile con l’omologato. Né tantomeno prendere per “innovativo” o “efficace” qualsiasi testo sperimentale. Scrivere di un vino, che so, che “fa vibrare i precordi e rimanda alla radice della coscienza collettiva” magari può risultare qua e là evocativo, ma nei fatti non mi fa nemmeno lontanamente afferrare i suoi contorni.

  2. Grazie Fabio. Esaustivo. Cordiali saluti.

  3. …ci tengo a dare un contributo tanto inutile quanto non richiesto indicando in Carl Barks l’autore del disegno in cima a questa pagina. Il che, unito ai nomi dei disegnatori sopra indicati rappresenta una sorta di ciliegina sulla torta….”sorta”, “torta”…scùsino.

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