Nudo e crudo

di Raffaella Guidi Federzoni

In tanti ci hanno provato, in pochi ci sono riusciti, fra questi Egon Schiele e Lucian Freud. Mi riferisco alla raffigurazione del corpo umano, soprattutto femminile. Il corpo nudo, spoglio, vero e crudo. I due hanno trasmesso il nitore e l’espressività dell’imperfezione, oltre al profondo erotismo che emana una donna quando non ha niente addosso, solo la sua vitalità sensuale.

A questo punto prima di perdermi in un disegno dalle linee troppo curve è meglio per me virare sul vino, e precisamente avvicinarmi a quella categoria che chiamo “vini spontanei” ed altri categorizzano come “vini naturali, biodinamici, biologici”, cioè vini i cui produttori-facitori-interpretatori dichiarano di essersi compiuti senza manipolazioni eccessive, senza chimica, senza interventi snaturanti.

Vini manifestanti la volontà di sentirsi parte di una minoranza cospicua, a volte leggermente snob.

In verità se ne è parlato e se ne discute fin troppo, sempre all’interno del nostro campicello, che al mondo di fuori non interessa un granché se un vino viene concepito ed eseguito così o cosà, basta che sia conforme a certi canoni comprensibili ai più e non costi una sassata.

Se ne è discettato fino allo sfinimento, soprattutto riguardo all’eterno dilemma “puzza o non puzza”, deviando così l’approccio verso il lato sbagliato.

Nella torre composita dei vini spontanei conviene entrare dalla porta principale e non da quella di servizio.

Conviene utilizzare la bocca tutta intera prima del naso. Conviene fare spaziare nel palato una bella sorsata di qualcosa che ha in sé un carattere molto particolare, un filo rosso che ho ritrovato in tanti vini assaggiati di recente durante una serata interamente “spontanea” alla quale ero stata invitata.

Il carattere della nudità e della crudezza.
Si tratta di una purezza spogliata dal perfezionismo che veste molti vini convenzionali (che a me piace altrettanto quando non è eccessivo).

Si tratta innanzitutto di riconoscibilità. Un vino veramente spontaneo si rende identificabile proprio nell’impatto gustativo molto netto, quasi crudele nel far avvertire spigolature e curvature grezze. Questo non vuol dire rinunciare alla piacevolezza, anzi, la beva scorre fra lingua e palato con facilità.
Non sempre è così e non è proprio facilissimo arrivare a questo livello di comprensione (da parte di chi beve) e di interpretazione (da parte di chi fa),

C’è a chi piace catalogare una scelta produttiva come uno sbaglio, frutto di faciloneria e voglia di stupire. C’è chi risponde con un fondamentalismo fideistico che non fa prigionieri.

In mezzo ci sono persone come la sottoscritta che si applicano per ricevere nel migliore dei modi l’espressione di una corrente sempre più importante nel mondo vinoso contemporaneo.
Persone che vogliono bere bene senza annoiarsi.

A proposito di noia, quello che parte come voglia di distinguersi rischia di diventare il contrario. A forza di scarnificare i vari passaggi della vinificazione, fino all’assetto definitivo, ci si può trovare fra le mani e in bocca un vino che sa come tanti altri, tutti nudi e tutti crudi.

L’altro aspetto negativo è che a tanta espressività possa corrispondere scarsa profondità, quella stratificazione di sensazioni che solo un vino molto assestato e vestito da anni di esperienza sa trasmettere. Per questo ci vuole tempo, ma poi accadrà anche alla spontaneità di raggiungere la maturità.

Resta comunque quella scintilla particolare, quella vibrazione vitale che appartiene a gran parte dei vini spontanei da me assaggiati, o meglio, semplicemente bevuti.

Concludo la mia dissertazione alterata tornando al disegno pittorico da cui sono partita. Il corpo femminile è stato immortalato da sempre, seguendo i gusti estetici del tempo in cui gli autori si trovavano a vivere. Poi sono arrivati altri artisti che hanno distorto la perfezione, l’hanno piegata al desiderio, all’inconscio, all’erotismo. Così facendo hanno creato immagini vibranti, vitali, succose.
Disegni e raffigurazioni da bere, non da assaggiare.

 

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