Vinum et circenses

di Raffaella Guidi Federzoni

Il Gregge va di moda. Vuoi che sia a proposito del contagio e della relativa immunità di massa, vuoi che sia a proposito di credere ciecamente a certe notizie. Vuoi che si tratti di movimenti comuni verso quella che sembra la strada principale del fare e dell’agire.
Il Gregge, il Branco, la Maggioranza possono anche cambiare direzione all’improvviso, quel che caratterizza il loro spostarsi è il numero abbondante dei partecipanti.

A nessuno piace essere considerato parte del gregge, eppure per molti è il volere del gregge che move il sole e l’altre stelle. Nel caso specifico del mio campicello d’azione questo si traduce in “proponi il vino che vuole il mercato e non quello che piace a te.”

Incredibile è quante volte ho sbattuto il grugno e le mie bottiglie contro questa granitica frase pronunciata in due o tre lingue diverse da persone con la fedina penale pulita e che nemmeno cornificavano la moglie. Ancora più incredibile è stata la mia resistenza cocciuta a questo diktat.
Perché “se è così mi chiedo a cosa serva il tuo/vostro lavoro” è quasi sempre stata la mia risposta, in due o tre lingue diverse.

Il vino non può proporre due collezioni all’anno come la moda. Il vino autentico, che sia seguito nel suo sviluppo in modo convenzionale o così così o del tutto sovversivo, ha comunque bisogno di un tempo che non è quello dettato dai semestri e nemmeno dallo spostarsi da un anno all’altro.

Il vino ha bisogno di un tempo che lo rende difficile da costringere in quello che vuole il mercato, cioè il consumatore medio che in realtà non esiste ma è un’invenzione di comodo del mediatore/importatore/agente pigro.
Se è vero che c’è stato il decennio delle spalle larghe e paillettes seguito dal periodo delle esagerazioni Trans a sua volta scalzato dal movimento esangue e nudista, è anche vero che chi ha tenuto duro sullo stile del produttore, le caratteristiche del vitigno – o dei vitigni – , la tipicità del luogo e della denominazione, alla fine è riuscito a sistemare le proprie bottiglie sugli scaffali e sulla tavola di tanti componenti del “mercato”.

Non è stato facile e non lo è nemmeno adesso. Anzi, negli ultimi anni con la comparsa del meraviglioso e grandissimo “mercato” cinese colmo di forzieri contenenti oro e pietre preziose, siamo stati sommersi ancora di più da consulenti e consiglieri che si sono affrettati a discettare su “quello che vuole il mercato”. Nello specifico si richiedono vini piacioni, con forme dolci e rotonde. Più o meno quello che ci veniva impost…ehm, suggerito nei favolosi anni Ottanta per conquistare Zio Paperone, solo con ancora più frutto e molto meno legno.

Sarebbe anche ora di mandare a farsi una girata i pastori di questo fantomatico Gregge, gli accidiosi ricercatori di punteggi alti e di vini standardizzati su di un gusto generale che adesso è così, ma domani chissà.

Direi che ormai noi produttori italiani siamo cresciuti, siamo più forti come immagine e soprattutto come conoscenza per la conduzione di un vigneto, di una cantina, di un’azienda e quindi meno influenzabili.
Non solo, è cresciuto e maturato anche chi potenzialmente può comprare ed apprezzare il nostro vino. Non una massa di spettator…ehm, consumatori appecoronati a tutto quanto fa spettacolo, ma degli individui che vogliono conoscere e scegliere la diversità e non l’uniformità.
Utopia?

Non proprio, restare fedeli e consistenti ad uno stile produttivo è molto meno complicato che correre dietro a quel modo e poi quell’altro e poi un terzo ancora.

Quindi possiamo anche permetterci finalmente di proporre dei vini che non seguono le mode, bensì le creano e le mantengono molto più a lungo di una sola stagione.

Scrivo così perché sinceramente sono stufa di partecipare a dialoghi relativi a cosa gettare alla Genti assetate, alla Plebe sugli spalti che chiede sangue, al Popolino al di là del cancello. Perché questo è spesso l’atteggiamento dei tanti anelli intermedi della catena commerciale: “diamo agli ignoranti quel che è più facile e comprensibile.”
Beh, io no.

One Comment to “Vinum et circenses”

  1. Questo di lei (non solo come Alterata) mi era già chiaro da molto tempo.
    Probabilmente ad alcuni non lo sarà mai.

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