Un dialogo del 2020

(d’après R. Queneau, A. Breton, et al.)

di Armando Castagno e Faro izbaziri

In un periodo di 1) degustazioni a raffica, 2) degustazioni alla cieca e 3) interviste a raffica, l’Accademia degli Alterati ha ritenuto di dar corso a un revival di sintesi, che era quanto mancava per completare il chiasmo: 4) l’intervista alla cieca.

È in verità un vecchio giochino surrealista, che a quasi cento anni dalla sua prima edizione (di due: 1928 e 1929) abbiamo pensato di aggiornare ai tempi e ai temi a noi più prossimi. È un ammirato omaggio, prima, sopra, e dopo tutto, agli incomparabili redattori d’antan, nientemeno che Raymond Queneau, Louis Aragon, André Breton, Antonin Artaud e Marcel Noll.

Come abbastanza evidente dal dipanarsi del testo, l’intervistato, Faro Izbaziri, ha risposto a domande a lui ignote; non solo alla cieca, quindi, ma anche alla sorda. Come conseguenza, o come premessa, le domande dell’intervistatore (Armando Castagno) sono state redatte prima dell’invio delle risposte, e nemmeno toccate in sede di composizione finale.

Lungi da noi l’idea di dire una parola sull’esito, chiuderemo invece con una citazione dall’edizione apparsa sulla “Révolution Surréaliste” del 15 marzo 1928. A domanda di Louis Aragon, Marcel Noll risponde d’acchito:

“È una carriola rovesciata che termina di marcire sulla pubblica piazza, di fianco a un cavallo sventrato”.
La domanda corrispondente era: “che cos’è l’esistenza?”.
Obiezioni?

A.C.

Che cos’è l’amore?
Di sicuro una figura cardine del settore. L’appassionato medio non si rende conto di quanto lavoro svolga. Un tempo era più rispettato, oggi gli si preferisce l’influencer con ventimila follower. Ma che cos’è un follower rispetto al principio entropico universale? Nulla. Quindi puoi avere ventimila o centomila nulla, il risultato finale – cioè il vuoto pneumatico e la perdita crescente di livelli di energia – rimane lo stesso.

Che cos’è l’amore per il vino, quando sincero?
Non è facile dare una risposta univoca. Un tempo bastava stappare una bottiglia e versare il vino. Si innescavano subito circuiti neuronali virtuosi e imprevisti, il vino era un pretesto iniziale e insieme il motore centrale del dialogo. Potevi finire a parlare di musica, o di donne, o di filosofia; più raramente di stime catastali. Nel panorama attuale questa libertà associativa è sostituita da una visione prestazionale: quel rosso vale tot e mezzo, qull’altro vale tot più due. Ma nessuno sa dire quanto vale davvero un tot.

Come definisci un vino buono?
Francamente non mi ha mai entusiasmato. Una volta ho sentito affermare: “tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio, che tuttavia sa come distinguerli fra loro”. Mi sembra una constatazione ovvia.

Una metafora per il vino cattivo.
Tra tutti i vini è probabilmente il più sopravvalutato. Lo puoi vinificare anche in azzurro, lo puoi tirare in rese da 300 quintali all’ettaro, lo puoi strapazzare/addizionare/sottrarre/osmosizzare come ti pare, tira sempre fuori qualcosa di potabile. Ma, appunto, essere potabile non vuol dire essere bello. Anche il mio vicino di casa mette le mani sul suo (orrido) pianoforte verticale. Ma non somiglia molto a Benedetti Michelangeli.

Parlami del gioco degli scacchi, tua grande passione.
Tra i due estremi – la sfiga è occhiuta, la fortuna è cieca – direi che sta nel mezzo: è ipermetrope. Perciò partecipa sia dei disastri della prima (la sfiga) che dei salvataggi insperati della seconda (la fortuna).

Che cos’è un dogma? Sii sincero e diretto.
Ne parlavo proprio ieri con un mio vecchio amico collezionista. È un vecchio modo di vedere le cose. Uno schema prevedibile, un meccanismo ben oliato. Come un motore molto potente, che però non ha assi né rotori né giunti né demoltipliche, e che quindi non può muoversi. E a che serve una Lamborghini, se è senza ruote?

Trovami una definizione per il dogma nel vino, allora.
Sfugge a una definizione univoca, e per questo è ricco di aperture prospettiche. A mio parere, nella sua durezza prosastica e contraddittoria, contiene anche un lato poetico. Come un negozio dall’insegna “Salumeria arcangelica” che sulla vetrina prometta “bibite analcoliche per cherubini” e “miraggi da asporto”.

Tema: la tua libreria di casa.
Peccato che non sia apprezzata quanto meriterebbe. Ha ideato cose folli, di nessuna utilità, e per questo molto evocative. Per esempio aveva proposto all’Apple Store un’app che indicava l’ora e il minuto. Non era però un orologio, era un’app cliccando sulla quale appariva solo un’ora un minuto preciso: c’era l’icona delle 12:30, poi quella delle 12:31, poi quella delle 12:32, eccetera. La Apple ha rifiutato, con la scusa pretestuosa che sarebbero necessarie 1.440 icone e nessuno smartphone potrebbe ospitarle. Ha la mia stima.

Esiste il male? E se esiste, che cos’è? Qualcosa di concreto?
Esatto. L’unica volta che ho viaggiato in business class, molti anni fa, mi hanno stappato una mezza bottiglia di Krug. Incredibile. Essendo un volo transoceanico mi sono alzato, verso le tre di notte, e in un angolo vicino alla toilette ho visto alcune altre mezze bottiglie dello stesso vino. Ero quasi tentato di afferrarne una, venendo meno al mio senso della morale, di solito granitico. Avevo fatti i conti senza l’hostess, che transitando sospettosamente in zona mi ha scoraggiato. Però ancora ci penso, sentendomi un po’ in colpa. Ma solo un po’: d’altra parte anche nel Comte Ory di Rossini è descritto un furto di bottiglie con destrezza.

Cosa troveremo dopo la morte? Puoi darne una definizione?
Guarda, non ci crederai ma c’è stato un periodo in cui facevamo progetti insieme. Io, che all’epoca ero ingenuo, gli avevo proposto di fondare una SRI, società a responsabilità illimitata. Ci saremmo accollati anche il debito pubblico del Venezuela. Ovviamente rifiutò.

Tarzan non aveva la barba. Un tuo commento su questo.
Lo trovo una sorta di passepartout: sta bene con tutto, a eccezione forse del brasato di istrice non spinato.

Parlami del colore inafferrabile dei würstel crudi.
Crede di essere una specie di Oscar Wilde, è un Wilde de’ noantri. I suoi aforismi non sono un granché. “Bisogna togliere a Cesare quello che non è di Cesare”, “bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà chiesto”, e simili.

Una tua definizione dell’arte astratta.
Una definizione calzante è: “un titolista di prim’ordine”. Avrebbe potuto lavorare come titolista del Manifesto. Una volta mi sono ingarellato e gli proposto, per un’edizione moderna di “Uno, nessuno e centomila”, “uno, nessuno e cinquanta”: molto più adeguato da quando c’è l’euro. Lui mi ha risposto: “facciamo piuttosto un saggio su Masaccio. Da incompetenti quali siamo, potremmo intitolarlo ‘Masaccio a casaccio’ ”. Ok, hai vinto, gli ho detto.

Che cos’è, a tuo avviso, un critico enoico?
Ha mille virtù, sa anche disegnare. Una specie di uomo del Rinascimento, fa pure un po’ rabbia. Una sera in trattoria, dopo cena, ha fatto il ritratto di un avventore anche più ubriaco di noi. Ho pensato che ci sono quelli bravi, come lui, che disegnano a mano libera; e poi quelli incapaci, che disegnano a piede libero.

Cos’è un sogno? Ne hai idea?
Tra i vitigni aromatici è quello che mi dispiace meno, e per stretta conseguenza quello che mi piace di più.

Una battuta sulla tematica delle dromologie in Paul Virilio (1932-2018).
Per me è un personaggio discutibile. Non apprezzo in particolare la sua onnipresenza, il fatto che torni a casa e te lo ritrovi in salotto mentre tiene una conferenza. Sta sempre ovunque. E se è vero che se ne vanno sempre i migliori, il suo caso ci fa dire: “restano sempre i peggiori”.

Una sul rapporto tra Pippo e Pluto. Pippo, un cane, è padrone di Pluto, un altro cane. Lui parla, Pluto no.
Non lo conosco. È straniero?

Una battuta sul rapporto tra vino e marchette.
So che è l’inventore della para di gomma nelle calzature. Comunque, per me nelle scarpe la para annoia (da cui il termine paranoia).

Una battuta sul rapporto tra alcool e mente umana.
È stancante dover confutare sempre le stesse false verità. Chi l’ha detto che non si può mischiare tipi diversi di vino? che con il pesce ci va il bianco e con la carne il rosso? che i vini che finiscono in –aia sono tutti buoni? e allora il Topaia, rosso che fanno a Caracas (vicino ai bar peggiori del posto)? E il Benzinaia, bianco da uve riesling troppo varietale? E il Bottegaia, rosso fatto senza scrupoli da un imprenditore che vuole solo guadagnarci? Non bisogna credere a tutto.

Che cos’è, in definitiva, questa intervista che qui termina?
See, così so’ bboni tutti. Prova tu a fare un rosso di stile bordolese partendo dal vitigno pecorino.

 

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